Commentary on Political Economy

Sunday 11 October 2015

ERDOGAN THE ASSASSIN

Our next imminent post on theory and practice will be dedicated to the victims in the Ankara blast. If Europe were not run by a bunch of dandy cowards, the tyrant Erdogan would have met the fate that pigs such as him richly deserve:- at best life in jail and at worst a bullet through the head. Instead, this bastard is received with open arms by the wimps in Brussels! While the Middle East and North Africa burn, European leaders attend fashion parades in Paris....or a "Je suis Charlie" parade if it happens to occur at the same time.

That ferocious dictators like Assad posed threats to Europe ought to have been evident many decades ago. Europe should never have relied on tyrants like Erdogan to confront the meltdown of the Islamic world. But when the European bourgeoisie were not busy fighting one another for a few hectares of land, they were vaingloriously wrapping themselves in their haute couture if not in their haute culture or lavishly gorging themselves on their haute cuisine. The first and foremost aim of European leaders and of the Union should be now to neutralise the tyrant Erdogan and his fresh brand of Islamic fascism. Long live the heroes of the Kurdish people and of freedom-loving Turks!

Those of you who read Italian can benefit from the excellent analyses in the Italian press. This one below from IlSole24Ore is probably the best and most concise:

La Turchia è già in guerra su due fronti, dentro e fuori il Paese: gli indiziati vanno dai militanti del Califfato al “deep state”, lo Stato profondo, intreccio di forze oscure che si muove da sempre sotto la superficie della politica, tirato in ballo quando non si trovano spiegazioni plausibili. Ma la spiegazione più attendibile è proprio nella fase che attraversa la Turchia, la più critica della sua storia recente.
Quanto sta accadendo è il risultato della ripresa del conflitto nelle zone curde, ricominciato dopo la rottura della tregua con il Pkk, e delle politiche di un governo che con il passaggio di migliaia di jihadisti ai confini con la Siria, lanciati con l'obiettivo di abbattere il regime di Assad, ha alimentato una destabilizzazione regionale fuori controllo.
Sul fronte esterno il problema di Erdogan è il fallimento della guerra ad Assad, su quello interno il successo elettorale dei curdi del partito Hdp che gli ha sottratto in giugno la maggioranza assoluta, al punto che per alzare il tiro e polarizzare il Paese ha dato mano libera alle forze armate contro il Pkk: il risultato sono stati centinaia di morti tra i curdi e dozzine tra i militari, che peraltro hanno adottato metodi inaccettabili colpendo duramente non solo i combattenti ma soprattutto i civili. I filmati mostrano Cizre rasa al suolo come una città siriana.
Non potendo vincere la guerra ad Assad, complicata dall'intervento militare della Russia, Erdogan ha tentato di eliminare i curdi all'interno e si è alleato con le frange più nazionaliste. Erdogan, come ha dichiarato a Bruxelles durante la sua recente visita, qualifica ormai tutti i curdi come terroristi, siriani anti-Isis e Hdp compreso per i legami con il Pkk, sperando che la deriva ipernazionalista lo salvi dalla sconfitta elettorale. L'Europa ha bisogno di lui per accogliere due milioni di migranti e non ha replicato a queste dichiarazioni mentre per anni Francia e Germania avevano accusato Ankara di mancato rispetto degli standard democratici. Non c'è da stupirsi se ora arrivano gli attacchi kamikaze: la Turchia è vittima delle politiche spericolate di Erdogan, incoraggiate dall'Occidente, e ora la guerra di Siria si salda con il conflitto in Kurdistan.
Per essere un Paese membro della Nato, la Turchia di Erdogan in questo periodo aveva posto più problemi di quanti ne risolvesse. Gli americani hanno duramente negoziato per ottenere la base di Incirlik e i turchi insistono ancora per insediare in territorio siriano una fascia di sicurezza dai contorni incerti. Alla Turchia destabilizzata, bastione sempre più fragile dell'Alleanza atlantica e tenuta sdegnosamente nell'anticamera dall'Unione Europea, oggi non resta che buttarsi nelle braccia della Nato e dell'Europa che dopo avere snobbato a lungo Erdogan lo corteggia perché disponibile a tenersi in casa i profughi siriani. Una sorta di unione obbligata tra debolezze strategiche che hanno sbagliato le scelte nel quadrante mediorientale e oggi, nell'ora del terrore, fanno causa comune ma con obiettivi assai diversi.

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