Commentary on Political Economy

Sunday 26 July 2020

Editoriale | Il male che torna tra noi

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di Antonio Polito
La speranza di un’Italia migliore che si è accesa nei giorni della solidarietà non va abbandonata con un’alzata di spalle, perché tanto il mondo questo è, e sempre così sarà
Il ritorno del male fa notizia. Le vicende della caserma Levante, le torture e le orge, voluttà del crimine in chi avrebbe dovuto combatterlo, si sono svolte in pieno lockdown e in una città martire del Covid, a Piacenza, dove i morti sono stati quasi mille; gli orchi erano in azione proprio mentre noi ci ripetevamo che dalla crisi saremmo usciti migliori, restituiti a una più solidale e profonda umanità. Ovunque il male si sta riappropriando della sua normalità, della sua banalità. A Roma bande di ragazzini travestiti da Arancia meccanica sputano su citofoni e portoni per sfregio alle norme di igiene; oppure bastonano e rapinano un cinquantenne al grido di «ebreo di merda»; o pestano a sangue un custode pachistano per vedere «l’effetto che fa un nero svenuto sul marciapiedi». A Milano un ventenne, clandestino e di origini senegalesi, è accusato dalla prova del Dna di aver violentato una ragazza nel parco. A Vittorio Veneto un gruppo di minorenni, convinti che non avrebbero mai potuto punirli grazie all’età, terrorizzavano i negozianti con estorsioni e minacce. A Verona due padri italiani hanno pestato le mogli e le figlie. In tutta Europa il lockdown ha prodotto un’impennata negli scambi di materiali pedopornografici sul web.
Verrebbe da dire: forse era solo ingenuità sperare che un grande trauma producesse un grande cambiamento. Un più fondato pessimismo sulla natura umana avrebbe dovuto ricordarci che il «male radicale» non può esserne estirpato.
Da Aristotele in poi la filosofia tenta di spiegarsi perché, e non ci è ancora riuscita; è stata perfino inventata una branca della teologia, la teodicea, per «giustificare» la presenza del male in un mondo creato da un Essere onnipotente e misericordioso. Ma forse c’è dell’altro. Questo risveglio dal Covid — sostiene la rivista Foreign Affairs — sta portando violenza e conflitto anche nei comportamenti collettivi. Il caso americano è emblematico. Nell’esplosione turbolenta di rabbia che è seguita all’uccisione di George Floyd, c’è la misura di quanto l’emergenza virale abbia funzionato da detonatore di ogni accumulo di tensioni sociali e ingiustizie razziali; e lo stesso è avvenuto nelle proteste armate inscenate in alcuni stati contro i parlamenti per ottenere la «riapertura». Nella reazione del potere, d’altro canto, si è intravista una tentazione dispotica, fino all’idea di usare l’esercito contro i cittadini. L’invocazione di poteri di emergenza, per ora solo virtuale negli States, si è fatta realtà in Ungheria, Serbia, Egitto. Conflitti interni agli Stati sono proseguiti, o peggiorati, un po’ ovunque: «La violenza in Colombia e in Burundi, in Mozambico, Myanmar e Pakistan — scrive la rivista americana — ha prodotto negli ultimi due mesi più di seicentomila sfollati». Poteri armati non statali stanno approfittando del Covid per rafforzarsi, offrendo aiuti alle comunità più povere: dai cartelli della droga messicani, ai Talebani, a Hezbollah. E la crisi economica indotta dal lockdown ha già provocato violenza politica e instabilità a Beirut, a Baghdad, a Mumbai.
È possibile che ciò che altrove si è innestato su antichi e radicati motivi etnici, razziali o sociali, da noi stia invece sobbollendo sotto forma di violenza gratuita, di malvagia euforia da disastro? Può essere che ancora una volta nella storia una grande paura covi l’uovo del serpente, e sprigioni riserve mai esaurite di violenza e sopraffazione? Può succedere, e dobbiamo saperlo. Però è altrettanto possibile che anche il nostro sguardo sia cambiato: avendo smesso di «vedere» il bene, che ci era apparso così evidente e trascinante nei giorni del dolore, oggi il male risalta di più, con il suo pericoloso portato di seduzione e spirito di emulazione.
Nella stessa Piacenza dove agiva la banda dei carabinieri infedeli, da mesi centinaia di persone in difficoltà sono aiutate da «Emporio solidale», un’iniziativa che consente a chi ne ha bisogno di fare la spesa al supermercato senza pagare, grazie al cuore di tanti benefattori e all’impegno dei volontari. Possiamo dimenticarlo ora? Nei giorni precedenti al lockdown il giornale locale, Libertà, ha pubblicato la lettera commossa del figlio di un’anziana signora che vive sola, alla cui porta aveva trovato un carabiniere sconosciuto che alla sera controllava se tutto andava bene. Il male cammina sempre accoppiato al bene. Anzi, Sant’Agostino sosteneva che non è altro che la negazione del bene, la sua mancanza, e quindi in quanto tale non è stato creato, ma bensì prodotto dagli uomini.
Di certo non possiamo dimenticare il bene. La speranza di un’Italia migliore che si è accesa nei giorni della solidarietà non va abbandonata con un’alzata di spalle, perché tanto il mondo questo è, e sempre così sarà. Il bene deve continuare a far notizia, anzi, «Buone notizie», come nel titolo di un fortunato supplemento del Corriere. E deve alimentare costantemente la nostra condanna morale del male, la nostra insofferenza, la nostra sanzione sociale, prima ancora che penale. I mesi che ci aspettano sono pericolosi: richiedono donne e uomini consapevoli che non basterà non fare il male per batterlo, ma solo fare il bene potrà riuscirci.

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