Commentary on Political Economy

Tuesday 15 December 2020

NOT BY BREAD ALONE...EXCELLENT PANEBIANCO

 

Ora l’America sembra più vicina

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di Angelo Panebianco

Biden dice: si torna all’antico, Washington ricomincerà a distinguere i Paesi a seconda del loro regime politico e a privilegiare i rapporti di cooperazione con le democrazie

È qualcosa di meno di un progetto ma, tenuto conto dell’autorevolezza della fonte, è molto più di un semplice auspicio. Il neo-presidente Joe Biden ha annunciato di volere organizzare un summit mondiale delle democrazie in una data ancora imprecisata del 2021. Con lo scopo di dare vita a un coordinamento il più stretto possibile (lo si chiami lega delle democrazie o forum democratico ) fra le democrazie del Pianeta. Ovviamente, l’annuncio è, prima di tutto, una mossa anti- Trump, un modo per dire al resto del mondo: la musica è cambiata. Trump, nel trattare con gli altri Stati, era indifferente al loro regime politico: democratici o autoritari , non faceva differenza. Contavano solo i vantaggi che potevano ricavarne gli Stati Uniti. Biden dice: si torna all’antico, Washington ricomincerà a distinguere i Paesi a seconda del loro regime politico e a privilegiare i rapporti di cooperazione con le democrazie. La manifestata volontà di favorire una grande alleanza fra le democrazie è imparentata con quella, tante volte ripetuta, di volere rinsaldare — dopo la burrasca Trump — i rapporti di amicizia con i partners tradizionali, gli europei per primi. Propaganda a parte, potranno esserci delle ricadute pratiche? È possibile dare vita a una lega delle democrazie? Magari in grado di consentire un maggiore coordinamento fra i Paesi democratici in sede Onu, e di creare, più in generale, un fronte unito rispetto alle potenze autoritarie?

Certamente contano le tradizioni culturali. Nel caso di Biden gioca un ruolo l’eredità dell’internazionalismo wilsoniano. A world safe for democracy, un mondo sicuro per la democrazia: con queste parole il presidente Woodrow Wilson annunciò nel 1917 l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. L’idea che l’America debba operare per favorire la democrazia nel mondo (una generosa aspirazione per i simpatizzanti, l’ipocrita maschera dell’imperialismo yankee per gli antipatizzanti) fu da allora parte integrante della tradizione democratica americana. Col tempo contagiò anche i repubblicani. Si pensi al reaganismo. Ma si pensi anche a George Bush Jr e alla sua «esportazione della democrazia» al tempo delle guerre di Afghanistan e di Iraq.

Oltre alle tradizioni, contano le circostanze in cui i governi si trovano di volta in volta ad operare. È possibile che, se vi investirà tempo e pazienza diplomatica, Biden possa riuscire a convocare un summit delle democrazie. Invece, è poco probabile che possa nascere un organismo politico vitale (la lega delle democrazie). Quali che siano le affinità fra loro, le democrazie hanno, in molti ambiti, interessi non coincidenti quando non apertamente divergenti. Ci sono troppe divisioni, attuali o potenziali. Per limitarci agli europei, basti pensare a quanto siano faticosi i compromessi in sede di Unione europea. Ci sono poi i dossier aperti con gli Stati Uniti tanto sul piano commerciale quanto su quello strategico. A voler essere ottimisti si può anche ipotizzare che — superata la fase del nazionalismo aggressivo di Trump — trattative comunque molto difficili e impegnative possano appianare i contrasti commerciali.

Sul piano strategico le cose sono molto più complicate. Ad esempio, le democrazie asiatiche, dal Giappone all’India, spaventate dalle ambizioni espansioniste di Pechin0, sono plausibilmente più disponibili ad appoggiare una politica americana di «contenimento» della potenza cinese rispetto alle democrazie europee. Queste ultime intrattengono con la Cina ottime relazioni commerciali. Per giunta, non pare proprio, al momento, che le opinioni pubbliche europee si sentano in qualche modo «minacciate» dalle scelte cinesi di politica estera. Anche nell’epoca delle comunicazioni globali e istantanee contano ancora le distanze e le vicinanze geografiche: la potenza autoritaria geograficamente più vicina fa più paura di quella più lontana.

È una delle ragioni per le quali gli argomenti più «sensibili» per le democrazie europee riguardano la Nato, i rapporti con la Russia, il Medio Oriente. Trump chiedeva agli europei un maggiore sforzo finanziario per la difesa comune. Certamente Biden dovrà reiterare la richiesta. Non sarà facile far comprendere alle opinioni pubbliche europee che, come i pasti, anche la sicurezza militare non è gratis e che se si vuole salvare la Nato (in attesa — campa cavallo — della famosa «difesa europea») saranno necessari sacrifici. Per inciso, la questione della Nato conta anche in un altro senso: ne fa parte, formalmente, uno Stato, la Turchia, impegnata in una politica espansionista che la pone in rotta di collisione con l’Europa. Per quanto tempo ancora, in sede Nato, si potrà fingere di non vedere il problema? E poi, naturalmente, c’è la Russia. Potenza economicamente in declino ma ciò nonostante (o forse proprio per questo) impegnata in aggressive politiche neo-imperialiste nell’Est Europa e in Medio Oriente. E impegnata ad aumentare con qualunque mezzo (aggressioni informatiche comprese) la propria capacità di influenza sull’Europa. Un «vizio» — l’imperialismo russo — che risale ai tempi degli zar: Vladimir Putin che, a differenza di tanti europei, conosce la storia, non casualmente, qualche tempo fa, ha detto di ispirarsi allo zar Pietro il Grande. Per un’America impegnata nel contenimento dei cinesi sarebbe difficile fare la stessa cosa nei confronti dei russi. Per giunta, è tutt’altro che sicuro che le democrazie europee la seguirebbero compattamente.

Nell’ipotizzato summit noi italiani dovremmo anche chiedere agli americani una presenza più attiva nel Medio e Vicino Oriente per contenere russi e turchi che ormai bivaccano (Libia) davanti alla porta di casa nostra. Quante probabilità avremmo di essere ascoltati?

Non nascerà una lega delle democrazie. Ma si possono rinsaldare i vecchi legami . Come ha osservato Ian Bremmer (Corriere12 dicembre) l’ordine mondiale liberale costruito dalle democrazie è da tempo in fase di ripiegamento e ci vorranno molti sforzi per ridargli slancio. Difficile ma non impossibile. Nonostante le sue tante magagne, il suddetto ordine mantiene ancora una capacità di diffondere nel mondo speranze e volontà di imitazione. Una capacità che nessun regime autoritario possiede. Come nella Berlino dei tempi della guerra fredda: si passava il muro per andare a Ovest, mai nella direzione contraria.

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