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La democrazia di Orbán non piace più
Il partito del premier è in ritardo di dieci punti sul cartello delle opposizioni e la forbice si sta allargando

Dopo quindici mesi di pandemia, neanche gli uomini forti sono più quelli di un tempo. L’incedere di Viktor Mihály Orbán, primo ministro dell’Ungheria ininterrottamente da oltre dieci anni, all’improvviso non è più così sicuro. Un paio di anni il premier fa aveva fatto in modo da espellere dall’Ungheria la Central European University, che è americana, liberal, prestigiosa e soprattutto indipendente dal potere politico. Niente di sorprendente, per lui. Del resto in Ungheria anche i media di opposizione faticano a trovare inserzionisti, i principali giornali sono in mano a una fondazione legata al governo e qualunque figura risulta fastidiosa alla cerchia del premier è oggetto delle loro violentissime campagne di fango.
Non molto dopo aver allontanato la Central European University, Orbán in realtà ha presentato un’alternativa: un enorme campus alla periferia di Budapest per la Fudan University, cinese ma finanziata con circa 1,5 miliardi del bilancio pubblico magiaro. Non un’istituzione accademica qualunque. Nel dicembre del 2019 Fudan ha cancellato dal suo statuto il principio di «indipendenza e libertà di pensiero» e l’ha sostituito con «l’impegno a seguire la leadership del partito comunista». Di recente Orbán ha ricambiato mettendo il veto, da solo, su una dichiarazione europea che criticava la repressione cinese a Hong Kong.
Gli abitanti di Budapest non hanno gradito. Sabato in migliaia sono scesi in strada per protestare contro l’utilizzo di un’ampia porzione del territorio comunale per l’enorme campus cinese. Gergely Karácsony, 45enne sindaco liberale di Budapest e probabile leader dell’opposizione alle politiche fra meno di un anno, ha subito preso posizione. Le strade intorno al terreno assegnato al campus sono state ribattezzate con nomi come «Via Libertà per Hong Kong», «Via Martiri uiguri» o «Via Dalai Lama». L’ambasciata cinese si è lamentata, il governo ungherese anche, ma alla fine Orbán ha dovuto cedere: il progetto della Fudan University verrà sottoposto a un referendum fra i residenti di Budapest. Dunque probabilmente non decollerà mai, perché l’ostilità nella capitale è molto diffusa.
Non sembra un caso che il premier magiaro inizi a mostrare segni di debolezza proprio adesso. Per la prima volta tutti i partiti di opposizione si sono coalizzati in un’alleanza per batterlo alle elezioni politiche fra meno di un anno e l’operazione potrebbe riuscire. Fidesz, il partito del premier, negli ultimi sondaggi è in ritardo di dieci punti sul cartello delle opposizioni (45% a 55%) e la forbice per ora si sta allargando. Del resto l’Ungheria non esce affatto bene dalla pandemia. È il Paese che registra ufficialmente il maggior numero di morti al mondo dopo il Perù, in proporzione alla popolazione. La recessione è stata dura e prolungata, i ceti medi si sono impoveriti, mentre la cerchia degli amici e familiari di Orbán continua a vincere molti degli appalti pubblici più ricchi. Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, definisce l’Ungheria di oggi «un’oligarchia iperliberista sul modello russo». Sicuramente durante la pandemia il governo ha approvato un decreto che cancella qualunque forma di contratto collettivo di lavoro nelle fabbriche e nei settori pubblici dell’istruzione e della sanità. Tutti dipendenti in quelle aree ora possono essere licenziati o degradati su due piedi per qualsiasi ragione, anche solo per aver aderito a uno sciopero. E qualunque operaio decida di licenziarsi prima di aver completato un programma biennale di ore di lavoro pre-assegnate deve versare all’azienda il salario corrispondente che avrebbe percepito in quel periodo. In sostanza, quasi fosse uno schiavo, deve pagare per liberarsi.
Un numero crescente di ungheresi sta arrivando alla conclusione che il modello illiberale di Orbán presenta soprattutto svantaggi. Quando lo capiranno anche i suoi ammiratori in Europa e in Italia, magari, non sarà troppo tardi.
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