Commentary on Political Economy

Wednesday 15 December 2021

 

L’ascesa dei nuovi imperi

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di Angelo Panebianco

Senza il declino (relativo) della potenza americana, difficilmente Putin si sarebbe impegnato nel braccio di ferro sull’Ucraina

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Mezzi corazzati russi (Ap)

Se le implicazioni di quanto potrebbe accadere non fossero molto serie, dovremmo sorridere ricordando una celebre battuta: «Sta per arrivare la rivoluzione e non ho niente da mettermi». Nel gennaio del nuovo anno, ossia tra poche settimane, saremo in tanti qui in Europa ad aspettare con il fiato sospeso gli eventi. La Russia, che ha ammassato una grande quantità di truppe al confine con l’Ucraina potrebbe decidere di invaderla con lo scopo di conquistare Kiev. Biden, la Nato e, persino, l’Unione europea stanno facendo la faccia feroce e pur escludendo l’uso della forza, minacciano Putin di pesantissime sanzioni. Basterà? Nel frattempo il Presidente russo mette in campo tutti gli strumenti di cui dispone, le armi ma anche il ricatto energetico nei confronti di un’Europa che non ha pensato a ridurre la propria dipendenza dal gas russo negli anni in cui ne aveva la possibilità. Per inciso, si può osservare che anche da questo punto di vista non tutti qui in Europa siamo entusiasti estimatori di Angela Merkel e del suo lascito politico. Forse la crisi ucraina verrà (temporaneamente ?) superata trovando un compromesso fra Russia e occidentali che non faccia perdere la faccia a nessuno. Resta che in quella crisi anche noi europei dell’Unione siamo coinvolti. Proprio noi che, fino a non molto tempo addietro, ci baloccavamo con formule tipo «Europa civile», immaginando che non ci saremmo mai più trovati a fare i conti con le dure regole della politica di potenza.

Dalla vicenda ucraina si possono trarre fin d’ora vari insegnamenti. Il primo è che si tratta di una conseguenza del declino (relativo) della potenza americana. Senza il quale difficilmente Putin avrebbe osato impegnarsi in un simile braccio di ferro con gli occidentali. Anche il quasi flop mediatico di quel «summit sulle democrazie» così tanto voluto da Biden è un segnale della perdita di prestigio, e quindi di potenza, degli Stati Uniti. Un secondo insegnamento riguarda la stretta interdipendenza, in un mondo ormai multipolare, fra le diverse zone di crisi che coinvolgano interessi vitali delle grandi potenze. Sicuramente i cinesi, dalla crisi ucraina, trarranno indicazioni per comprendere cosa potrebbero fare gli americani se e quando la Cina deciderà di invadere Taiwan. Un altro insegnamento riguarda il comportamento degli imperi già rinati (Cina) o che aspirano a ricostituirsi (Russia). C’è, da questo punto di vista, un’evidente somiglianza fra l’aspirazione russa a riprendersi l’Ucraina e quella cinese a conquistare Taiwan. L’identità imperiale, l’immagine che l’impero ha di sé, è compromessa se non riprende il pieno controllo dei territori da esso dominati nei secoli passati (tanto più se, come nel caso di Kiev, hanno, per il ricostituendo impero, un grande valore simbolico), in quella specie di età dell’oro in cui godeva del massimo prestigio e del massimo splendore. Di fronte a questa esigenza nessun argomento che le si possa opporre, riguardi esso i principi della indipendenza e della sovranità nazionale (dell’Ucraina o di Taiwan) o la questione dei diritti umani (degli ucraini, dei taiwanesi, o di chiunque) può avere alcun valore. Come si è visto anche recentemente ad Hong Kong. 

C’è infine un insegnamento che riguarda noi europei, quelli che, per l’appunto, ora non hanno niente da mettersi. Dopo la disastrosa ritirata americana da Kabul persino i più distratti hanno capito che per l’Europa il lungo dopoguerra (post-Seconda guerra mondiale) è davvero finito, che la protezione americana non è più un fatto scontato, che c’è un vitale problema di sicurezza europea. Ma cosa fare e come fare? Per esempio, siamo sotto ricatto energetico della Russia. Tra non molto, quando il gasdotto North Stream 2 entrerà in funzione (lo stop attuale deciso dalla Germania difficilmente diventerà definitivo) la capacità di influenza russa sugli europei aumenterà ulteriormente. Bruxelles si è improvvisamente svegliata e ora propone misure per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia entro il 2030. E nel frattempo? Quale che sia l’esito della crisi ucraina è certo che la pressione della Russia sull’Europa, il tentativo di condizionarne le scelte, non potrà che crescere nei prossimi anni. In diretta relazione con l’indebolimento degli Stati Uniti.

L’impreparazione europea a fare i conti con gli attuali revanscismi imperiali (non solo delle grandi potenze) è evidente. Giusto per fare un esempio di casa nostra, e che riguarda i nostri interessi vitali, senza che il nostro Paese abbia piena contezza di quanto è accaduto abbiamo permesso agli ottomani (Turchia) di riprendersi la Tripolitania un secolo dopo che proprio l’Italia l’aveva tolta dalle loro mani (nel 1912). Molto generoso da parte nostra. Il Mediterraneo sta diventando un mare dominato da russi e turchi ma il problema sembra preoccupare pochissimo la nostra opinione pubblica o quella degli altri Paesi europei. 

Si dice: l’Europa deve darsi al più presto una difesa comune. Perfetto. Ma siamo sicuri che l’Europa l’abbia davvero capito? Il presidente francese Macron ne parla. Ma sullo sfondo c’è sempre il ricordo della Grandeur francese. Davvero, in nome della difesa comune, la Francia cederebbe il controllo delle sue armi nucleari a un organismo comune europeo? Ricordiamo che Macron dovrà probabilmente vedersela, alle prossime elezioni presidenziali, con una candidata gollista. È escluso che, a breve termine, possa fare gesti così generosi. Per ragioni diverse, neanche gli altri europei appaiono preparati, psicologicamente e moralmente, a cambiare, in materia di sicurezza, le antiche abitudini (contratte in un mondo che non c’è più). Si ipotizzano, anche in tema di difesa, cooperazioni rinforzate, magari guidate da un patto fra Francia, Germania e Italia. Ma non è affatto sicuro che il pavone (la Francia, con i suoi residui scampoli di Grandeur), la mucca mansueta e ben pasciuta (la Germania) e il camaleonte (l’Italia), siano in grado di impegnarsi davvero in una siffatta impresa.

Nel frattempo, le crisi pericolose, come quella ucraina, che potrebbero cambiare da un giorno all’altro le prospettive dell’Europa, incombono. Quando non si hanno ombrelli si può solo sperare che non piova. Non subito, per lo meno.

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