Commentary on Political Economy

Saturday 26 February 2022

La libertà e la forza, l’importanza del «fronte interno»

di Angelo Panebianco

26 febbraio 2022

Adesso nelle democrazie europee ci si dovrà contare (anche dentro i partiti) sulla base della distinzione fra i nemici e gli amici di Putin


La conventio ad excludendum è la compagna inseparabile della cortina di ferro. Quando cala la seconda, si materializza anche la prima. Significa che l’esclusione o l’inclusione nelle possibili combinazioni di governo saranno condizionate dalle scelte internazionali dei singoli partiti. Adesso, col nemico alle porte, nelle democrazie europee ci si dovrà contare (anche dentro i partiti) sulla base della distinzione fra i nemici e gli amici di Putin.


E ciò influenzerà le trattative per la formazione dei governi. Come sempre in queste situazioni, ci saranno anche molti Neville Chamberlain, il premier britannico che cercava l’accordo con Hitler. Nella vana illusione, tante volte coltivata nella storia, di potere ammansire a proprio vantaggio la potenza imperialista, di placarne la furia e l’ingordigia.


Tanto nelle guerre calde quanto in quelle fredde, in cui ci si affronta e ci si colpisce in tutti i modi ma senza superare la linea oltre la quale si muovono gli eserciti, un contributo decisivo alla vittoria o alla sconfitta è dato da ciò che accade al «fronte interno»: quanto compatte sono le società coinvolte? C’è, di fronte all’aggressore o al potenziale aggressore, un grado sufficiente di solidarietà interna? Per questo è importante smontare le tesi di coloro che, in Occidente, solidarizzano con Putin.


Fino ad oggi gli amici europeo-occidentali di Putin hanno usato due argomenti: il primo è centrato sulle presunte responsabilità dell’Occidente, il secondo sulle «buone ragioni» di Putin. Il primo argomento è proprio di coloro per i quali, qualunque cosa di male accada nel mondo, la responsabilità è degli occidentali, degli Stati Uniti in primo luogo. Siamo stati noi, secondo questa vulgata, a minacciare la Federazione russa con l’allargamento della Nato (che è però un’alleanza difensiva) e dell’Unione europea. Quella della Russia sarebbe pura autodifesa. La verità è che se una colpa l’Occidente ha è di avere a lungo creduto che, una volta dissolta l’Urss, la Russia potesse diventare un Paese simile ai nostri. Ha creduto che secoli e secoli di tirannia potessero essere cancellati di colpo. È l’ignoranza della storia la colpa dell’Occidente.


Il secondo argomento è quello delle «buone ragioni» di Putin. I discorsi dei suoi amici europei sono la fotocopia di quelli degli amici di Hitler quando egli, nel 1938, invase la Cecoslovacchia. La giustificazione era che Hitler difendeva i «tedeschi dei Sudeti». Quando Putin si è preso la Crimea nel 2014 e ancora quando, pochi giorni fa, ha inglobato le repubbliche filorusse del Donbass, i suoi fan ne hanno giustificato allo stesso modo il comportamento. Se non che, proprio la vicenda della Crimea avrebbe dovuto dare la sveglia a tutti. Una grande potenza stava violando la regola tacita che ha garantito la pace in Europa. In un continente in cui due guerre mondiali hanno cambiato i confini di tanti Paesi, quella regola tacita prescrive che le frontiere fra gli Stati possano cambiare solo consensualmente, attraverso accordi. Quella regola venne calpestata dai piccoli Paesi balcanici e ne derivò la guerra jugoslava. Ma la Russia non è la Serbia e la sua violazione della regola tacita è stata ed è una minaccia per la pace dell’intera Europa.


Se Putin non riuscirà a conquistare in pochi giorni l’Ucraina imponendovi la sua legge, se una parte degli ucraini continuerà a combattere, vedremo presto gli amici di Putin sventolare bandiere pacifiste, vedremo lupi travestiti da agnelli i quali inviteranno i contendenti a «deporre le armi», che ripeteranno «pace, pace», facendo finta di non capire che se si invoca il cessate il fuoco nel bel mezzo di una invasione si sta in realtà invitando il popolo invaso alla capitolazione, gli si sta chiedendo di accettare l’occupazione del proprio Paese.


Fin qui sugli amici di Putin. Poi ci sono i Chamberlain. Noi italiani siamo sempre pronti a denunciare le inadeguatezze della nostra classe politica. Ma nemmeno quella tedesca è un granché. La Germania, prima potenza economica dell’Europa e Paese guida della Ue, ha responsabilità gravi: se l’Europa è così dipendente dal ricatto energetico russo è anche perché la Germania, e ne aveva i mezzi, non ha scelto per tempo (nemmeno la Crimea è servita a svegliarla) di favorire politiche che riducessero la vulnerabilità e la ricattabilità degli europei. Sorvoliamo, per carità di patria, sulla insipienza italiana.


Per anni l’ortodossia europeista ha preteso di farci credere che un giorno l’unificazione politica dell’Europa ci sarebbe caduta addosso come un frutto maturo. Sarebbe bastato, da parte degli europei, un po’ di buona volontà . Ma era solo una noiosa favoletta. Non è così che si realizzano le unificazioni politiche. Si realizzano, se si realizzano, solo se pesa sulle popolazioni coinvolte una minaccia esistenziale, di gravità tale da obbligarle a unirsi per fronteggiarla. I venti di guerra non garantiscono le unificazioni (possono anche agire nella direzione contraria, alimentare le spinte centrifughe). Ma, a volte, le rendono possibili. Ora la minaccia esistenziale c’è e l’Europa dovrà farci i conti per anni. Poiché non basta la garanzia americana, gli europei dovranno decidere: darsi, tutti insieme, la forza politica che serve per difendere le proprie libertà (e le proprie vite) o invece, ciascuno per suo conto, fare accordi con il despota sperando nella sua benevolenza.

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