Commentary on Political Economy

Tuesday 8 February 2022

 Putin, la Cina e l’ingenuità del mondo occidentale

desc img

di Angelo Panebianco

08 febbraio 2022

Pensavamo che la storia fosse finita e che le democrazie liberali avessero vinto la partita, ma il nuovo protagonismo di Pechino e Mosca racconta un’altra storia


Forse, sperabilmente — ma non è ancora certo —, la fase più acuta della crisi ucraina verrà in qualche modo superata, forse l’invasione russa non ci sarà, forse gli americani troveranno il modo di permettere a Vladimir Putin di ritirarsi salvando la faccia. E, indubbiamente, se la crisi verrà risolta, Emmanuel Macron, nella sua doppia veste di presidente francese e di presidente di turno Ue, potrà dire di avere fatto il possibile, con le sue proposte e il suo colloquio con Putin, per favorire un esito positivo. Anche a nome dell’Europa.


Resta che questa crisi sta insegnando molto a noi europei. La prima cosa che ci insegna è che non può esserci «autonomia strategica» dell’Europa (se ne è tanto parlato dopo la disastrosa ritirata americana dall’Afghanistan) senza la capacità di sottrarsi ai ricatti esterni. Putin ha dimostrato di tenere gli europei per la gola grazie alla nostra dipendenza (Italia e Germania in testa) dal gas russo. Come si fa a disporre di autonomia strategica nell’età della massima interdipendenza internazionale?


Era un ingenuo assunto liberale quello secondo cui al crescere dell’interdipendenza economica la politica di potenza avrebbe progressivamente perso la centralità che aveva un tempo. Anche le potenze autoritarie, si pensava, una volta saldamente inserite nell’economia internazionale di mercato, verranno addomesticate, cesseranno di essere un pericolo per le democrazie occidentali.


Di più: grazie ai fitti legami, ai mille fili creati e alimentati dagli scambi economici, le società chiuse, autoritarie, saranno obbligate ad aprirsi, a perdere o a diluire i loro tratti autoritari. È proprio in virtù di quell’assunto che si decise l’ammissione della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. Ed è la stessa ragione per cui la Russia post-sovietica fa parte delle istituzioni da cui dipende il «governo» dell’economia mondiale. Ricordiamo che fra le ritorsioni minacciate dagli americani in relazione alla crisi ucraina — oltre a quella di bloccare il trasferimento di tecnologie verso la Russia — c’è anche quella di escluderla da Swift, la rete di comunicazioni finanziarie internazionali.


Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non basta coinvolgere le potenze autoritarie nella ragnatela delle interdipendenze economiche per fare scomparire le minacce di guerra. Al contrario, i vantaggi economici che l’interdipendenza procura a quelle potenze le mettono in condizione di gonfiare i muscoli, di alimentare i propri sogni neo-imperiali e, per questa via, di destabilizzare l’ordine mondiale.


Un brutto risveglio per l’Occidente e massimamente per l’Europa. Adesso possiamo misurare quali errori abbiamo commesso nell’epoca, ormai definitivamente conclusa, in cui, crollata l’Unione Sovietica e svanita la minaccia comunista, abbiamo pensato che non ci fossero più ostacoli all’affermazione di un ordine mondiale in cui valori e istituzioni occidentali (rule of law, democrazia, mercato) potessero diventare dominanti. Negli anni Novanta dello scorso secolo e ancora nel decennio successivo, la kantiana «pace perpetua» e la hegeliana «fine della storia» erano utopie largamente condivise e nutrivano l’ottimismo occidentale sul futuro. Solo così può spiegarsi il fatto che l’Europa abbia infilato spensieratamente la testa nella bocca del leone, sia diventata così dipendente dalla Russia.


Altro che autonomia strategica. Fin quando — e ci vorranno anni se pure risulterà possibile — non riusciremo a diversificare a tal punto l’importazione di energia in modo da metterci al riparo dai ricatti di questo o di quello, l’Europa non avrà la capacità di fronteggiare le crisi alimentate dalla competizione di potenza. Si aggiunga il fatto che, in materia di energia, l’Europa (Francia esclusa) deve anche fare i conti con i suoi tabù diciamo ecologisti. A cominciare da quello che riguarda l’energia nucleare.


C’è un altro insegnamento che possiamo trarre dalla crisi ucraina. O meglio, più che un insegnamento si tratta di una conferma. La Germania, la principale potenza economica d’Europa, alla quale spetterebbe naturalmente il ruolo di leader politico del Vecchio Continente, di motore e guida di un’Europa impegnata ad affermare la propria «autonomia strategica», non ne ha né la capacità né la vocazione. Niente ne è testimonianza meglio del fatto che un ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, sia, ormai da molto tempo, di fatto, un funzionario alle dipendenze di Putin: già presidente della società russa Rosneft, ora è candidato al Consiglio di amministrazione di Gazprom, la grande compagnia, sotto controllo statale, del petrolio. Fra i Paesi occidentali è la Germania che sta vivendo con più imbarazzo, balbettando, il confronto con la Russia sulla crisi ucraina. Non è solo perché l’Spd, il partito socialdemocratico, oggi al governo, è il più filo-russo dei partiti tedeschi. È, prima di tutto, alla politica di Angela Merkel che dobbiamo l’attuale vulnerabilità dell’Europa. È assai probabile che se la crisi ucraina verrà in qualche modo superata, il gasdotto North Stream 2 verrà subito attivato. E la dipendenza energetica dai russi aumenterà ancora.


In queste condizioni non ha neppure senso parlare di difesa europea. Archiviato il sogno di dare vita a un ordine internazionale liberale, siamo entrati in una fase di accesa competizione di potenza. Per quanto riguarda l’Europa, dovremo vedercela sia con l’accerchiamento e la pressione esercitate su di noi dalla Grande Alleanza fra le due massime potenze autoritarie (Cina e Russia) sia con le minacce, portate dall’estremismo islamico, che provengono dalle aree di instabilità, Medio Oriente e Africa. Minacce — detto per inciso — assai inquietanti: come dimostra anche il fallimento dell’impegno militare europeo, volto a contrastare la sfida islamista, nel Sahel.


Data l’improbabilità che nei prossimi anni emerga un’Europa dotata di una leadership unitaria, gli europei si trovano di fronte a un dilemma. O mantenere la massima solidarietà possibile con gli Stati Uniti, condividendone lo sforzo di contenere le potenze autoritarie e gli altri pericoli incombenti ma rischiando anche di subirne i contraccolpi a causa della propria vulnerabilità. Oppure, andare in ordine sparso, all’insegna del si salvi chi può. Con alcuni Paesi europei pronti a coltivare l’illusione della neutralità, l’illusione di potere fare come la Svizzera. Magari anche chiedendo a Putin, o ai suoi successori, di proteggerli dai pericoli.


8 febbraio 2022, 20:32 - modifica il 8 febbraio 2022 | 20:37

No comments:

Post a Comment