Commentary on Political Economy

Monday 7 March 2022

 

Nuove sanzioni alla Russia su petrolio, carbone (e gas?): l’arma decisiva per piegare Putin

di Federico Fubini

Nuove sanzioni alla Russia su petrolio, carbone (e gas?): l'arma decisiva per piegare Putin

Nate nel Congresso americano con l’appoggio della speaker democratica della Camera Nancy Pelosi, cresciute con lo sdegno dell’opinione pubblica di fronte ai bombardamenti sui civili intrappolati nelle città ucraine, le sanzioni contro la Russia sul petrolio e forse anche su gas e carbone non sono più un’ipotesi di scuola. Anthony Blinken, il segretario di Stato americano, ha fatto sapere di volerne discutere con i suoi partner europei.

Russia, un’economia fondata sugli idrocarburi

Resta da capire quali sarebbero le implicazioni, per la Russia e per i Paesi che dovessero imporre un embargo anche solo parziale sulle importazioni di idrocarburi. Nel 2019 le fonti energetiche hanno rappresentato il 59% delle esportazioni russe, in valore, per un totale di 240 miliardi di dollari (dei quali 190 da petrolio greggio e raffinato). Ma per capire come agirebbe un blocco sulla principale fonte di entrate del regime di Vladimir Putin, bisogna tenere conto che oggi il paesaggio globale risulta stravolto per ragioni geopolitiche e di mercato: non tutti i Paesi applicherebbero le sanzioni (per esempio, non lo farebbe la Cina) ma nel frattempo l’esplosione delle quotazioni delle materie prime fa crescere ancora di più la dimensione le somme in gioco.

La spinta Usa, il ruolo dell’Europa

Su questi aspetti è possibile fare solo ipotesi sulla base di scenari (molto cauti) di prezzo del petrolio, del carbone e del gas. E sempre tenendo presente che l’unico blocco commerciale che davvero conta è quello dell’Unione europea, perché è il solo cliente rilevante della Russia a poter applicare delle sanzioni. Con queste premesse, le prime stime mostrano che misure sul petrolio ridurrebbero fortemente la disponibilità di cassa del regime russo; misure sul petrolio e sul gas, oltre che sul carbone, lo farebbero saltare nel giro di breve tempo perché toglierebbero a Putin entrate per quasi un terzo del prodotto lordo del Paese.

Gli effetti dell’embargo sul petrolio

Ma vediamo i dettagli.
Un embargo occidentale sul petrolio russo (di cui l’Europa nel 2020 ha comprato 138 milioni di tonnellate e gli Stati Uniti appena 3,7) costerebbe al bilancio di Mosca entrate per circa 90 miliardi di dollari quest’anno, anche nell’ipotesi di un prezzo medio al barile di un terzo meno caro di quello di oggiL’Europa del resto è di gran lunga la prima cliente del greggio russo, dato che compra più di metà dell’export totale.
La stessa Cina con ogni probabilità non riuscirebbe a compensare per Mosca la scomparsa del mercato europeo: oggi assorbe meno di un terzo delle esportazioni russe e verosimilmente aumenterebbe gli acquisti solo imponendo sconti di prezzo draconiani. Putin sarebbe costretto a svendere la sua principale risorsa.

Carbone: la Germania primo cliente di Putin

Quanto al carbone, i più grandi compratori dalla Russia sono l’Europa (Germania in particolare), la Corea del Sud e il Giappone: blocchi di Paesi che probabilmente parteciperebbero alle sanzioni, se fossero decise. In questo caso la Russia perderebbe poco più di 50 miliardi di dollari di entrate nel 2022, se si ipotizza un prezzo medio annuo vicino a quello di venerdì scorso (ma da allora è già cresciuto a doppia cifra).

Gas, il fulcro della guerra commerciale

Infine c’è il capitolo più controverso, quello relativo al gas naturale. L’esplosione dei prezzi in questo momento fa sì che Mosca veda entrare nelle sue casse circa un miliardo di euro al giorno e anche di più, alle quotazioni impazzite di oggi. Sono in gioco entrate per centinaia di miliardi di dollari o euro all’anno. Se si ipotizza un prezzo medio a 125 euro a Megawattora (adesso è a 270), nel 2022 l’Europa verserebbe a Mosca circa 200 miliardi di euro. Lo farebbe, allo stato attuale, attraverso le due banche controllate dal Cremlino che non sono state incluse nelle sanzioni: Sberbank e Gazprombank, rispettivamente prima e terza banca del Paese per dimensioni dell’attivo di bilancio. Questi due istituti continuano così ad avere forti afflussi di moneta forte liberamente utilizzabile, a differenza di quella bloccata nelle riserve della banca centrale. La vendita degli idrocarburi ai prezzi altissimi di oggi è dunque il canale che sta sostenendo lo sforzo di guerra di Putin, con entrate persino superiori a quelle degli anni scorsi. Se non si fa nulla, questo stato di cose di fatto nega l’efficacia delle sanzioni decise fin qui.

Le nuove sanzioni e l’austerità energetica (in Europa)

Dall’altra parte, è certo che ridurre gli acquisti di gas obbligherebbe l’Europa a praticare una forte austerità energetica. Bloccare il petrolio russo in occidente farebbe esplodere il prezzo internazionale della materia prima fino a provocare una recessione globale. Ma oggi siamo nel peggiore dei mondi possibili: l’energia è già costosa in modo proibitivo, eppure continuiamo ad arricchire Putin e gli permettiamo di proseguire un’aggressione atroce alle città ucraine e all’idea stessa di libertà, democrazia e autodeterminazione in Europa.

È molto probabile che il blocco totale degli idrocarburi di Mosca non sia sostenibile. È sicuro che non possiamo permetterci di fare a meno di almeno parte del gas, in particolare, che importiamo dalla Siberia. Ma ogni giorno che passa, a ogni bombardamento che colpisce Kiev o Mariupol, a ogni vittima e a ogni ondata di sfollati, non possiamo più permetterci neppure di ignorare la questione.
Il solo modo per fermare Putin è drammatico: mettere la Russia in ginocchio finanziariamente. Se questo è l’obiettivo, le sanzioni decise fino a questo momento lo avvicinano, ma ancora non lo raggiungono. Dobbiamo muovere un passo più in là, intervenendo almeno sul petrolio e sul carbone.

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