Commentary on Political Economy

Thursday 24 March 2022

Ora le illusioni sono cadute: la svolta della difesa europea

Al suo arrivo a Bruxelles per i tre vertici Nato, Usa-Ue, G7, Biden trova un’Europa sgomenta per la tragedia ucraina, ma politicamente più matura. In un mese i bombardamenti russi hanno seminato morte; hanno anche polverizzato l’illusione che l’Unione europea possa essere l’unica «superpotenza erbivora» della storia umana. Con Putin che evoca l’arma nucleare, l’idea che ci si possa difendere solo con il soft power, con la qualità della propria civiltà, è relegata tra le favole del passato.

I lobbisti di Mosca come l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, o i filo-putiniani della destra sovranista, sono nell’angolo. Diventa meno utopistico costruire una difesa comune europea, in stretta collaborazione con la Nato e non in concorrenza con l’alleanza atlantica. Cadono le riserve americane del passato: della difesa europea si parlava già ai tempi di François Mitterrand e Helmut Kohl; a Washington c’era sempre il sospetto che l’asse franco-tedesco scivolasse verso una posizione di terza forza, equidistante fra Stati Uniti e Russia. Putin ha «regalato» l’Europa all’America. La sua aggressione ha un effetto geopolitico dirompente. Le tentazioni di alcuni Paesi di perseguire una politica estera mercantilista, navigando opportunisticamente tra Est e Ovest, hanno ricevuto un colpo duro. Per Biden questo è davvero un regalo geopolitico. Grazie a Putin avrà meno ragioni per sospettare che qualche alleato faccia il doppio gioco. Di conseguenza Biden può delegare agli europei più responsabilità nella difesa del continente; questo gli consente di concentrare sforzi maggiori sulla sfida decisiva con la Cina, pur mantenendo una leadership indispensabile nella Nato.

Restano tanti ostacoli sulla via di una difesa comune europea. Ogni Paese è abituato a «coccolare e consolare» le proprie forze armate e la propria industria delle armi — tanto più se sono sottodimensionate — con protezionismi e favoritismi nazionali. Un esercito europeo deve avere come sostegno una grande industria europea della difesa, che superi le frontiere nazionali. La catena di comando dovrà essere compatta, snella, efficiente, anche qui gli orgogli nazionali andranno piegati. C’è sempre il sospetto che dove mancano gli americani e gli inglesi, i francesi vogliano asservire l’Europa ai propri interessi. Il modello sovranazionale della Commissione europea e del Consiglio europeo non potranno essere replicati nelle forze armate. La lentezza dei tecnocrati (nome con cui designiamo i burocrati con due lauree che parlano inglese) ci farebbe perdere ogni guerra prima di averla combattuta.

Ma per essere onesti, l’ostacolo principale a un’Europa capace di difendersi siamo noi. L’opinione pubblica europea esce da decenni di beato letargo. L’illusione sulla «superpotenza erbivora» è tenace, anche se tutti vedono che nella geopolitica reale siamo circondati da belve feroci, carnivore e affamate di conquiste imperiali. In Italia i pacifismi ipocriti, che ripudiano la logica delle armi solo quando le abbiamo noi, sono rafforzati dalle robuste tradizioni anti-occidentali e anti-americane delle maggiori famiglie politiche: ex fascisti, socialisti, comunisti, e una parte di cattolici. Eppure abbiamo esempi di due Paesi pacifisti, che non hanno mai avuto l’ingenuità di disarmare: Svezia e Finlandia, visto il vicino che si ritrovano...

Quando sarà il momento di mettere mano al portafoglio, cioè stanziare fondi per le nostre forze armate da saldare nel progetto europeo, sentiremo un argomento familiare: ogni miliardo speso per le armi è tolto alla sanità, alla scuola. Non è necessariamente vero. Il modello americano insegna quanti benefici nascano dalla ricerca e dall’innovazione tecnologica «duale», che ha ricadute in capo militare e civile. Gran parte dell’industria elettronica e informatica americana nacque nella Silicon Valley perché Franklin Roosevelt dopo Pearl Harbor spostò in California molti investimenti per la difesa. Internet nacque da un progetto della Darpa, il braccio di venture capital del Pentagono.

Oltre a costruire vere forze armate europee, una difesa comune passa dall’autonomia energetica. Anche di questa Biden discute in queste ore a Bruxelles. Di nuovo, non basta su questo terreno l’azione dei governi se le opinioni pubbliche non aprono gli occhi. Un ambientalismo apocalittico e adolescenziale ha fatto finta che l’abbandono delle energie fossili e il passaggio alle rinnovabili fosse al tempo stesso urgente e possibile in tempi brevi. Gli egoismi localistici hanno disseminato di ostacoli burocratici — soprattutto in Italia — ogni pannello solare e pala eolica. Si è sognato un mondo a zero emissioni dietro l’angolo, trascurando che per anni avremo bisogno ancora di gas e petrolio, e dobbiamo selezionare con cura i fornitori. Biden ha il coraggio di non ascoltare i propri ambientalisti, quando negozia con Arabia saudita, Emirati, perfino Venezuela e forse Iran, pur di sabotare il petrolio russo. Un’altra lezione dovrebbe vaccinarci dalla versione pauperistica dell’ambientalismo, quella che predica la decrescita. Oggi l’Occidente può sperare di reagire alla guerra di Putin in Ucraina restando sul terreno delle sanzioni economiche, solo perché noi siamo ricchi e la Russia molto meno. Il nostro livello di sviluppo è un valore positivo, che dobbiamo tenerci stretto. 

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