Commentary on Political Economy

Friday 18 March 2022

RUSSIAN DEATHS

18 mar 2022

Da più di 15 giorni i russi non comunicano nulla sulle loro perdite e questo fa crescere il timore che le spaventose cifre fornite dal nemico possano essere vere. In più decine e decine di madri che chiedono informazioni sui loro ragazzi alle autorità militari non ricevono alcuna notizia concreta. La risposta standard è sempre la stessa: «la persona è impegnata in operazioni fuori dal luogo di normale dislocamento». L’Ucraina non è nemmeno menzionata.

Il comitato delle madri di San Pietroburgo, che è praticamente sempre rimasto attivo dalla guerra in Afghanistan degli anni Ottanta a quelle in Cecenia degli anni Novanta e Duemila, non ha comunicazioni precise ma riceve dati anche dagli ucraini che spesso trovano i corpi dei giovani russi mandati da Putin e grazie ai documenti fanno sapere qualche cosa. In molte zone di combattimento il terreno è ricoperto di caduti che i russi non vogliono raccogliere. «Così non sono costretti a fare rapporto e a far sapere qualche cosa in patria», spiega la vice premier ucraina Irina Vereshchuk.

Decine di cadaveri sparsi ovunque a Mykolaiv, nelle campagne attorno a Kharkiv, in ogni luogo dove si sono svolti combattimenti. Gli addetti dei servizi funebri li recuperano quando possono e li stipano in vagoni frigoriferi, ma devono agire con grande attenzione. «Ci dobbiamo muovere assieme agli artificieri perché a volte vengono sistemati sopra una mina anti-uomo», ha raccontato uno di loro.


Le autorità di Kyiv hanno chiesto l’intervento della Croce rossa per poter risolvere la questione che, secondo quanto contenuto in un comunicato, è sempre più grave e urgente. Nei primi sette giorni di quella che al Cremlino si chiama solo «operazione militare speciale» sarebbero morti 498 soldati, secondo Mosca. Poi più nulla. Già quella cifra, ritenuta comunque inferiore alla realtà da ucraini e americani, fa pensare a un numero di caduti altissimo: più di settanta al giorno. Un dato abnorme, decisamente superiore a quello dell’Afghanistan (quattro al giorno) e della Cecenia (sette). Gli americani in Vietnam ne avevano dieci al giorno.

Ma se fossero vere le stime di oggi fatte da esperti occidentali, la situazione sarebbe veramente fuori controllo. Si parla di settemila perdite, qualcosa come 300 al giorno. Gli ucraini riferiscono addirittura di 14 mila soldati russi uccisi. Per evitare che le perdite abbiano effetti sul fronte interno, in situazioni di guerra dichiarata i dati sono coperti dal segreto di Stato. Ma l’Unione Sovietica e la Russia non si trovano ufficialmente in una situazione bellica dal 1945. Così nel 2015 Putin ha cambiato le regole, dopo l’uso di militari senza mostrine di riconoscimento in Crimea e a sostegno degli indipendentisti del Donbass. Un suo decreto del 28 maggio di quell’anno stabilisce che anche le notizie su caduti militari in tempo di pace, «durante lo svolgimento di operazioni speciali» non possono essere rese pubbliche. Esattamente come in guerra.

Già il conflitto in Afghanistan che costò all’Urss fra i 13.825 (cifra ufficiale) e i 50.000 (stime di ricercatori post sovietici) morti era un’altra cosa. La denominazione usata era «Invio in Afghanistan di un contingente limitato di truppe sovietiche per prestare aiuto all’amico popolo afghano». I «ragazzi di zinco», come recita il libro sull’argomento del premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksiyevich, tornavano nelle loro bare di quel materiale e venivano seppelliti in segreto. Anche le due guerre in Cecenia furono un massacro per i militari di leva. E non erano etichettate come guerre: la prima venne battezzata «Operazione per ristabilire l’ordine costituzionale in Cecenia», e durò dal 1994 al 1996. La seconda si chiamava semplicemente «Operazione antiterroristica» e si svolse fra il 1999 e il Duemila sotto la guida di Putin, prima come capo del governo e poi come presidente. Undicimila decessi ufficiali. Molti corpi sarebbero stati accumulati nella città bielorussa di Mozyr. Altri verrebbero smaltiti in forni crematori mobili messi in funzione nelle repubbliche indipendenti del Donbass. Tutto per evitare che a casa si venga a sapere. Ma come hanno dimostrato le esperienze passate, alla fine le notizie in qualche modo raggiungono le famiglie. E finiscono per condizionare l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Oggi tanti sono favorevoli a Putin ed esibiscono la Zeta come segno di approvazione. Ma domani?

No comments:

Post a Comment