Commentary on Political Economy

Saturday 5 March 2022

 

Tra i russi che lasciano il Paese: «Il futuro ci sembra incerto, qui non ci sentiamo al sicuro»

Tra i russi che lasciano il Paese: «Il futuro ci sembra incerto, qui non ci sentiamo al sicuro»

DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA - Per dove parte questo treno Allegro. Conversazione notturna al bar di un hotel nel centro della capitale. Andrey e Kira, marito e moglie, entrambi laureati, entrambi muniti di Visa e di un buon impiego presso una multinazionale estera specializzata in ricerca tecnologica. Al secondo piano, dorme la loro unica figlia, Tatjana, undici anni. Lui ha in mano i biglietti e il programma di viaggio. Vengono da Rubjliovka, villaggio alla periferia nord-ovest di Mosca il cui nome è sinonimo di una agiatezza declinata tra le villone degli oligarchi e i condomini di lusso dove abitano «gli occidentali», quelli che viaggiano, lavorano e magari vengono pagati all’estero.

La via per la Finlandia

«Domani mattina sveglia presto», dice lui. Con una espressione tutt’altro che contenta. Saliranno sul primo Mosca-San Pietroburgo, tre ore e quaranta minuti. Poi sul secondo e ultimo treno per Helsinki, altre ore. E lì si fermeranno. La famigliola è munita di Visa e di buon stipendio, può permetterselo. Così come si è permessa di prenotare un pacchetto completo presso qualche agenzia di viaggio, l’unica ancora in grado di garantire un posto sull’Allegro, il treno che nelle forme si ispira in modo evidente al nostro vecchio Pendolino e prende il nome dal movimento musicale che indica un cambio di ritmo repentino. «È quello che stiamo facendo noi, tutto all’improvviso si è messo ad andare veloce, siamo stati presi di sorpresa» sospira l’ingegner Andrey. «Non avevamo scelta».

La caccia ai biglietti

Gli altri russi ne hanno anche meno di loro. La prenotazione sul treno che porta oltre il confine con la Finlandia è impossibile su ogni motore di ricerca, i primi biglietti disponibili sono per il prossimo 13 marzo. Tra una settimana. Una eternità. «Abbiamo deciso quando si è cominciato a parlare dell’introduzione della legge marziale. Con quello che sta succedendo, il futuro ci sembra incerto, e non ci sentiamo al sicuro». La molla è stata quella. Le smentite prima di Dmitrij Peskov, il portavoce di Vladimir Putin, e poi dello stesso presidente russo, non hanno fermato il flusso costante di passeggeri russi verso la Finlandia. «Nessuno vuole essere obbligato ad andare in guerra» interviene Kira. «Abbiamo trentacinque e trentasette anni, abbastanza per ricordarci com’era la vita di prima. Se non usciamo, rischiamo di perdere il lavoro e tutto quello che abbiamo costruito in questi anni. Non lo meritiamo».

I borghesi espatriano

È l’emigrazione di chi se la può permettere, una élite borghese, cittadina e cosmopolita che più di ogni altra cosa teme l’autarchia e il ritorno a un mondo chiuso che non immaginavano potesse ritornare. Al valico di Vaalimaa, quasi duecento chilometri a est di Helsinki, le auto in attesa del passaggio formano una coda lunga quasi un chilometro. E non si tratta certo di vetture economiche, anche qui Suv e berline di gran marca. I controlli sono sempre più severi. I bagagli vengono perquisiti alla ricerca di denaro, perché la somma di denaro consentita per chi è in possesso dei documenti per l’espatrio era già molto bassa, e il crollo del rublo l’ha fatta diventare l’equivalente di una cena in ristorante di una qualunque città europea. I media finlandesi affermano che ad oggi sono più di ottomila i russi che hanno fatto questa scelta. «Basta guardare la quantità di valigie con le quali viaggiano per capire che non torneranno presto» dice il capotreno finlandese intervistato da Euronews. A giudicare dalle immagini che giungono dal confine e dall’impennata dei prezzi dell’Allegro, il numero di quelli che ci stanno provando è destinato ad aumentare.

I «cattivi» russi

Le tisane di Andrey e Kira sono ancora intatte. È una notte di cattivi pensieri, di dubbi e di incertezza sul futuro. Il loro dilemma non è morale, ma economico. Sanno che d’ora in poi per la loro madrepatria sarà durissima. «Se mi sento un cattivo russo, un egoista, come vengono dipinti quelli che se ne vanno? No, affatto. Ho solo tanta paura. Credo sia arrivato il momento giusto per andare via. Ma non so se potrò mai rivedere i miei amici e i miei parenti, e questo fa molto male». Entrambi lasciano da questa parte del confine un genitore anziano, che non se l’è sentita di accompagnarli. «Li capisco» dice lui. «Mio padre non approva. Per lui, conta la Russia. Ma io non mi sento colpevole se dico che per me è più importante il mondo che sta fuori, perché è così che sono cresciuto, è così che mi hanno fatto studiare». Si alzano entrambi. Appare evidente che non credono a un addio definitivo, per il quale forse non si sentono pronti. «Cosa succederà nei prossimi giorni? Quando finirà tutto questo?» chiede lei. Magari ci fosse qualcuno che lo sa davvero. In ogni caso buon viaggio, e buona fortuna.

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