Commentary on Political Economy

Sunday 24 April 2022

If I had had a chance to write an article on France...I could not have done better than Cazzullo in this OUTSTANDING piece...

A definite must read when you have 3 minutes (that's all)!


https://www.corriere.it/esteri/22_aprile_24/che-cosa-significa-vittoria-macron-francia-sceglie-l-europa-l-atlantismo-ba758f54-c3f8-11ec-b866-99e8752a9d0f.shtml


 I couldn't avoid a splenetic note. Cazzullo misguidedly quotes the French sociologist Luc Ferry.

Ferry in turn refers to the people who voted Macron as "Le cercle de la raison" - the circle of reason.

In other words, the very people who are leading France and Europe to cataclysmic disaster are supposedly "reasonable"!

I could never conceal my utter contempt for French intellectuals - lazy, womanisers, prima donnas of no substance whatsoever. They come next in line to Han Chinese as the butt of scorn...and you know well what I would do to the latter!

Che cosa significa la vittoria di Macron: la Francia sceglie l’Europa e l’atlantismo

Che cosa significa la vittoria di Macron: la Francia sceglie l'Europa e l'atlantismo

La folla di sostenitori di Emmanuel Macron a Champ de Mars, Parigi (AFP)

La Francia ha scelto ancora una volta l’Europa, l’atlantismo, il liberalismo, la globalizzazione governata. Ma la Francia è divisa come mai prima. Se avesse votato soltanto Parigi, Emmanuel Macronnon sarebbe al 58 per cento, ma al 90. Se però avesse votato soltanto il Nord de-industrializzato, o il Sud terra d’approdo dell’immigrazione, Marine Le Pen sarebbe presidente. «Non esistono due France, quella delle città e quella delle campagne, quella che sta bene e quella che sta male. La Francia è una sola», aveva detto il presidente nell’ultimo comizio, e ripeterà stasera, assicurando di voler unire la nazione.

Purtroppo non è così. C’è la Francia che sta sopra, e ha votato Macron; e c’è la Francia che sta sotto, e ha votato Le Pen. C’è la Francia che vive nelle grandi città, ha studiato, sa l’inglese, padroneggia il francese al punto da divertirsi a capovolgerlo con il vezzo del verlan (mafemme diventa ma meuf, e via così), considera l’Europa il proprio futuro, trae vantaggio dalla globalizzazione e pure dall’immigrazioneMarine Le Pen sarebbe presidente. «Non esistono due France, quella delle città e quella delle campagne, quella che sta bene e quella che sta male. La Francia è una sola», aveva detto il presidente nell’ultimo comizio, e ripeterà stasera, assicurando di voler unire la nazione.

Purtroppo non è così. C’è la Francia che sta sopra, e ha votato Macron; e c’è la Francia che sta sotto, e ha votato Le Pen. C’è la Francia che vive nelle grandi città, ha studiato, sa l’inglese, padroneggia il francese al punto da divertirsi a capovolgerlo con il vezzo del verlan (mafemme diventa ma meuf, e via così), considera l’Europa il proprio futuro, trae vantaggio dalla globalizzazione e pure dall’immigrazione, e si è mobilitata per il presidente. E c’è una Francia che vive in periferia o in provincia e dall’Europa si sente dominata, dalla globalizzazione tradita, dall’immigrazione minacciata; e ieri è stata sconfitta, sia pure meno nettamente che in passato, con Marine Le Pen.

Il divario sociale è palese e preoccupante. A Saint-Germain e nel sedicesimo arrondissement, quello a più alto reddito, al primo turno Macron ha superato il 50%; la Le Pen non è arrivata al 5. Tra i francesi con la laurea magistrale il presidente vince 5 a 1, tra quelli con la laurea triennale prevale 4 a 1, tra i diplomati pareggia, tra coloro che si sono fermati alla scuola dell’obbligo è travolto da Marine. Ovviamente non tutti i quasi venti milioni di francesi che hanno votato Macron sono raffinati intellettuali o milionari felici. Molti sono semplicemente europei che non volevano una vittoria di Putin, la fine dell’Ue, il conseguente tracollo finanziario. Francesi ed europei consapevoli che la loro economia si regge anche sull’immigrazione.

Ma la paura che ha portato Marine Le Pen al massimo storico non può essere demonizzata. Anche il suo elettorato ha varie motivazioni. L’ostilità per Macron, l’uomo del sistema, delle élites, dell’establishment. Il disagio sociale. La sofferenza per l’aumento dei prezzi, per un salario che non basta mai. E anche – sarebbe ipocrita negarlo – il rifiuto dello straniero, che sia il tedesco e l’americano “dominatore”, oppure l’arabo o il nero “invasore”. Le ricette di Marine Le Pen avrebbero aggravato la situazione.Il divieto del ricongiungimento familiare, ad esempio, sarebbe stato un disastro non solo umanitario, ma pure securitario: in ogni cultura, il primo controllo sociale è la mamma, è la moglie, sono i figli. Ma respirare di sollievo per il mancato pericolo non basta.

Macron è atteso da un compito difficile. La sua non è stata una vittoria di sfondamento, come cinque anni fa, ma di risulta. Al primo turno il voto anti-sistema è stato nettamente maggioritario. I consensi di quello che il politologo Luc Ferry definisce «il circolo della ragione» – macroniani, socialisti, repubblicani – nel 2017 erano quasi al 60%; ora sono sotto il 40. Il presidente faticherà a trovare una maggioranza in Parlamento alle elezioni legislative di giugno. Ma la questione non è solo francese. Nel pieno della peggiore crisi internazionale dal 1945, l’Europa è chiamata ad avanzare in condizioni critiche. Perché una frazione crescente dell’opinione pubblica non è europeista. E lo si vedrà tra pochi mesi pure nel voto italiano. 

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