Commentary on Political Economy

Tuesday 26 April 2022

La forza (a metà) di Macron: una lezione dalla Francia

Il mondo occidentale, l’Unione Europea, la Nato. Tutti in queste ore brindano allo scampato pericolo. Tutti sono grati ai francesi per avere riconfermato Macron. Nell’immediato una presidenza Le Pen avrebbe compromesso la tenuta del fronte occidentale nella guerra. Nel più lungo termine, avrebbe bloccato l’integrazione europea e inferto colpi mortali all’Alleanza atlantica. Si pensi poi agli effetti di contagio. In Italia, ad esempio, i movimenti populisti, che sono forti quanto e forse più che in Francia, ne avrebbero tratto grande beneficio. Come minimo, dopo le prossime elezioni, ci saremmo ritrovati, come ai tempi di Trump, con una qualche riedizione del governo giallo-verde.

Quasi mai in democrazia è la politica estera a orientare il voto dei cittadini. La Francia non fa eccezione. Ma se, nella scelta fra Macron e Le Pen, hanno sicuramente pesato soprattutto motivazioni economiche — le proposte di Le Pen non sono apparse convincenti per molti francesi e il buon andamento dell’economia ha premiato il presidente uscente — un qualche peso deve averlo avuto anche la guerra e la minaccia della Russia all’Europa. Era chiaro a tanti che una vittoria di Marine Le Pen sarebbe risultata assai gradita al dittatore russo.

Tutto bene dunque? Ci sono due incognite. La prima riguarda le elezioni parlamentari di giugno. Forse, come ci si aspetta, la vittoria di Macron avrà un effetto di trascinamento su quel voto. Ma se, per ipotesi, i macronisti non ottenessero la maggioranza dei seggi, allora la presidenza Macron verrebbe subito azzoppata. Macron dovrebbe, come impone la logica dei semi-presidenzialismi, dare vita a un governo di coalizione, fortemente condizionato dalla estrema destra o, più facilmente, dall’estrema sinistra.

La seconda incognita ha a che fare con la politica che Macron vorrà o potrà fare in Europa. Come risulta dal breve discorso fatto dopo la vittoria, il presidente riconfermato è ben consapevole del fatto che il suo Paese è spaccato e polarizzato, che dovrà necessariamente tenere conto delle domande e delle aspettative dei tanti, soprattutto giovani, che hanno votato Mélenchon, il candidato di estrema sinistra, al primo turno delle presidenziali, nonché di tutti coloro che hanno consentito a Le Pen di raccogliere così tanti consensi al secondo turno.

Non dobbiamo dimenticare che in queste presidenziali si sono scontrati il nazionalismo/sovranismo duro e puro di Marine Le Pen e il nazionalismo/sovranismo soft di Macron. Il presidente, in questo erede della tradizione gollista, vuole una Europa forte ma anche un’Europa ove la Francia possa esercitare una egemonia. Qualcuno immagina che Macron, o un qualsiasi altro presidente (in nome di un europeismo che a quel punto risulterebbe per lui politicamente suicida) sia disposto a cedere all’Unione europea il seggio francese nel Consiglio di sicurezza dell’Onu? I risultati delle elezioni francesi, con i più che lusinghieri risultati ottenuti dai partiti estremisti, condizioneranno ancora di più le aspirazioni egemoniche della Francia. In ogni caso, Macron ha vinto ma non ha stravinto. Non solo la politica interna ma anche la politica estera della Francia ne saranno influenzate.

Comunque, egli è ora lo statista più forte e autorevole d’Europa. Tramontata l’era Merkel, l’esecutivo tedesco sta già mostrando gli ondeggiamenti e le incertezze che sono propri di tutti i governi di coalizione. Macron, sempre che possa contare, dopo il voto di giugno, su una forte maggioranza parlamentare, sarà in grado di esercitare, verosimilmente, una grande influenza sui prossimi passi della Unione europea. Inoltre, per almeno un anno, fino alle elezioni italiane del 2023, potrà anche contare sull’appoggio e la cooperazione del governo di Mario Draghi. Possiamo aspettarci dalla Francia un forte calcio d’avvio al processo di costruzione di una difesa militare europea. Inoltre, è probabile che da lui venga un contributo decisivo alla revisione dei trattati e, in particolare, al superamento di quella regola dell’unanimità che ha rallentato e spesso anche bloccato l’integrazione europea.

Ma le elezioni francesi ci dicono anche un’altra cosa. Ci dicono che le ragioni di preoccupazione per il futuro delle democrazie europee, e dell’Occidente nel suo insieme, non sono affatto superate. Dagli Stati Uniti alla Francia, dall’Italia alla Spagna, una insoddisfazione diffusa e un rabbioso rancore nei confronti dei rispettivi establishment, alimenta correnti illiberali che non appaiono debellabili e che un giorno potrebbero far saltare il banco, mettere la parola fine sulla storia della democrazia liberale.

Sfidato dall’esterno (dalle potenze autoritarie) e dai movimenti illiberali all’interno, l’Occidente resta in grave affanno. Una parte delle sue élites se ne rende conto. Ma un’altra parte, a giudicare da quanto viene detto e scritto da molti, non lo ha ancora capito. E ciò complica il compito di chi ha il dovere istituzionale di fronteggiare quella doppia sfida.

Proprio a questo proposito va ricordato un grande merito di Macron. Da solo esso basta per riconoscerne la statura politica. È stato osservato che in queste elezioni francesi, il tema dell’immigrazione non è stato affatto centrale. È difficile non riconoscere che le posizioni di Macron sull’argomento hanno contribuito a togliere un’arma, in teoria potentissima, dalle mani dei sovranisti anti-establishment. La posizione di Macron sull’immigrazione unisce accoglienza e rigore. Cerca di tenersi lontano sia dal lassismo («accogliamoli tutti e come va va») sia dalla xenofobia anti-immigrati («fuori tutti»). Ricordiamo, per esempio, la sua posizione fortemente ostile nei confronti delle componenti integraliste dell’immigrazione islamica. E la ferma opposizione al controllo delle moschee da parte di movimenti estremisti. Macron ha scelto la strada giusta, l’unica possibile, per governare l’immigrazione: accoglienza sì ma secondo regole, a tutela dei francesi, che non possono essere violate. Gli italiani, di destra e di sinistra, farebbero un’ottima cosa se andassero a lezione da lui. 

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