Commentary on Political Economy

Thursday 23 March 2023

 

L’Europa può muoversi unita per incalzare Pechino

Chiamami quando vuoi. Volodymyr Zelensky ha fatto sapere di essere pronto a confrontarsi in ogni momento con Xi Jinping. Il leader ucraino vuole capire quali siano le reali intenzioni del presidente cinese. Ha davvero intenzione di fornire armi e mezzi militari all’armata putiniana, come sospetta l’intelligence americana? Oppure ha in mente un tentativo genuino per aprire la strada al negoziato? Il 24 febbraio scorso Xi ha diffuso un documento in 12 punti, presentandolo non come una bozza d’accordo tra le parti, ma una serie di principi sui quali provare a ragionare. Il governo americano ha liquidato quel testo all’istante, accusando Pechino di non essere credibile, visto che non ha mai condannato l’aggressione all’Ucraina e anzi, ha continuato a sostenere l’economia russa. E l’Unione europea? Per il momento abbiamo sentito con chiarezza solo la voce della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che, di fatto, ha ripetuto, quasi parola per parola, la posizione espressa dalla Casa Bianca. Il possibile ruolo della Cina, però, ritorna sul tavolo del Consiglio europeo, da ieri riunito a Bruxelles. I 27 Capi di Stato e di governo si ritrovano dopo aver assistito alla tre giorni moscovita di idillio, o di manfrina secondo gli americani, tra Putin e Xi.

Zelensky, però, non si è fatto impressionare ed è andato al cuore del problema: la sponda cinese può tornare utile alla causa della pace o è solo una facciata di cartone? È una domanda che riguarda da vicino anche i Paesi dell’Unione europea, a prescindere dalla postura americana, per una serie di ovvie ragioni generali, strutturali. Sappiamo che le economie del Vecchio continente e quella del gigante asiatico sono sempre più interdipendenti. L’interscambio commerciale vale 700 miliardi di euro (245 per la sola Germania): più o meno equivalente a quello tra Usa e Cina (690 miliardi di dollari). Inoltre, come ha ricordato ancora ieri il Segretario dell’Onu Antonio Guterres, «isolare la Cina comporta dei rischi per tutto il mondo»: basti solo pensare alla lotta al «climate change».

Stati Uniti e Paesi europei hanno confermato l’impegno a sostenere la resistenza ucraina, inviando quantità di armi sempre più ingenti e sempre più sofisticate a Zelensky. Tutti hanno preso atto che non sarà Putin a fermare la guerra: inutile avventurarsi in velleitari tentativi di aggancio diplomatico con un leader su cui pende, per altro, l’accusa di aver commesso «crimini di guerra».

Ma la discussione su che cosa possa indurre il numero uno del Cremlino a cambiare corso è molto intensa, tanto a Washington come a Berlino, Parigi, Roma o Varsavia. Il Pentagono e poi lo stesso governo di Kiev hanno annunciato l’imminente avvio di una robusta controffensiva, una «spallata» per sconfiggere Putin sul campo.

Tuttavia sia Biden che Zelensky ora vogliono telefonare a Xi Jinping. Nonostante le tensioni crescenti, il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sta preparando una missione cruciale a Pechino, in cui si discuterà, naturalmente, anche di Ucraina. Sono segnali che, almeno in teoria, potrebbe esserci un’altra strada. E allora perché non provano a esplorarla anche gli europei? Basterebbe chiedere ufficialmente a Xi Jinping come dobbiamo interpretare il punto numero 1 del suo testo, laddove si afferma che vanno rispettate «la sovranità, l’indipendenza e l’integrità di tutti i Paesi, grandi o piccoli». Che cosa significa nel concreto per l’Ucraina? I cinesi, giusto per citare il passaggio chiave di ogni futura trattativa, stanno pensando ai confini del 2014, cioè senza la Crimea e una porzione del Donbass? Certo il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato di avere «fatto pressioni» su Pechino perché convincesse Putin a ritirare l’esercito. Anche Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani si sono mossi in questa direzione.

Ora, però, i tempi sembrano maturi per «un’operazione verità» corale, condotta da tutta l’Unione europea. Quote consistenti delle opinioni pubbliche europee, in Italia la maggioranza, sono sempre più contrarie all’invio di altri ordigni a Kiev. I governi, quindi, hanno il dovere e anche la convenienza politica a chiarire ogni dubbio e, se sarà il caso, a dimostrare ai propri cittadini che, purtroppo, non ci sono alternative alla guerra a oltranza, alla sconfitta militare di Putin. Lo stesso discorso vale sulla scala geopolitica. Di nuovo, l’Europa, se davvero vuole lasciare il segno in questa vicenda, dovrebbe dimostrare ai Paesi scettici o non allineati, dall’India all’Arabia Saudita, dal Brasile all’Indonesia, di aver preso sul serio, di aver vagliato ogni possibilità, prima di avallare l’attacco armato di primavera per liberare l’Ucraina.

Ragioni di politica interna e di strategie internazionali suggeriscono che sarebbe necessario incalzare Pechino, chiedere di scoprire le carte, non più, o non solo, con sondaggi riservati, ma con un’iniziativa politica netta e trasparente. Comprensibile per tutti.

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