Commentary on Political Economy

Tuesday 4 April 2023

 

La Germania, capo degli ostruzionisti in Europa

Oggi si tende spesso a dimenticare, nel dibattito riguardante Regno Unito ed Europa, quanto difficili siano stati i rapporti tra di loro sin dall’inizio. Nei primi anni Ottanta, Margaret Thatcher fece deragliare più di un vertice europeo con le sue incessanti richieste di rimborsi. Alla fine i leader europei, spossati da tanto martellare, cedettero alle sue richieste e nel maggio 1985 accordarono al Regno Unito una riduzione del contributo. Fu una vittoria per il Regno Unito, ma portò con sé pesanti conseguenze politiche, all’epoca sottovalutate. La Thatcher rimase senza alleati a Bruxelles e il suo isolamento condizionò le sue scelte europee negli anni a venire. Nel 2011, David Cameron appose il veto a una riforma dei trattati europei che puntavano a conferire all’eurozona un’identità formale all’interno dell’Unione. Con il referendum sulla Brexit, nel 2016, il Regno Unito si è trasformato in un membro semi distaccato, con clausole di esenzione di vario grado, dalla moneta unica agli accordi di Schengen sul libero movimento delle persone, dalla carta dei diritti fondamentali agli affari interni.

Gli sviluppi più interessanti che osserviamo nell’Ue dall’uscita del Regno Unito riguardano la Germania, che si affretta a subentrare al posto appena vacato dai britannici come leader inaffidabile degli ostruzionisti. È risaputo che la Germania ha sempre tutelato i suoi interessi industriali interni al di sopra di ogni altra cosa, che si tratti di gas russo o di politica commerciale con la Cina. Ma la situazione va peggiorando.

La scorsa settimana Olaf Scholz ha avuto la sua crisi thatcheriana, quando ha messo i bastoni tra le ruote del Consiglio europeo in difesa della decisione del suo governo di spostare in avanti la scadenza del 2035 per l’abolizione delle vetture a combustione interna. L’Unione europea aveva già trovato un accordo sulla materia, e i ministri, assieme al parlamento europeo, avevano approntato una legislazione concreta. Al vertice, i colleghi europei sono andati su tutte le furie, compresi quelli che normalmente si schierano a fianco della Germania su quasi tutto. I primi ministri di Olanda, Belgio, Lussemburgo, Latvia e Finlandia hanno tutti criticato il disastro causato da Scholz.

E come la Thatcher nel 1985, anche Scholz ha portato a casa una vittoria di Pirro. Che cosa era successo? Molto semplicemente, che l’alleato minoritario della sua coalizione, il liberal-democratico FDP, voleva garantire un’eccezione dalla scadenza del 2035 per le macchine alimentate a elettrocombustibili. Gli e-combustibili sono ottenuti a partire dal biossido di carbonio catturato dai processi industriali, e dall’idrogeno proveniente dalle energie rinnovabili.

Il precedente accordo siglato dall’Unione europea prevedeva che tutte le vetture ordinarie sarebbero diventate elettriche entro quella scadenza. Gli e-combustibili sarebbero stati riservati a quei mezzi di trasporto che li utilizzano, come camion, navi ed aeroplani. Dall’analisi degli investimenti programmati per gli impianti di e-combustibili, sappiamo benissimo che non ve ne saranno a sufficienza per coprire i soli camion, per non parlare delle autovetture, in quanto questi combustibili hanno costi di produzione elevati. Una delle poche case automobilistiche tedesche che ha scommesso tutto sugli e-combustibili è la Porsche, i cui clienti avranno sicuramente denaro a sufficienza per procurarsi un carburante costosissimo, mentre invece la maggior parte delle altre si prepara alla transizione verso le macchine elettriche. Si scopre poi che Christian Lindner, capo della FDP e ministro delle finanze tedesco, è amico stretto del dirigente della Porsche, Oliver Blume. Lindner, inoltre, è il solo membro del governo tedesco a guidare una Porsche. Metaforicamente, si direbbe proprio che una Porsche sia andata a schiantarsi contro il palazzo Justus Lipsius a Bruxelles la scorsa settimana, sede principale del segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea, dove si incontrano i leader europei.

La conclusione più ovvia è che Scholz ha accolto le forti pressioni di uno dei suoi principali ministri per sabotare un incontro dei leader europei, in difesa di un’idea destinata ben presto a cadere nel dimenticatoio. La Commissione europea e la Germania hanno finito col siglare una formula di compromesso su questo sciagurato e-combustibile, ma gli ostacoli legali e commerciali si annunciano assai problematici.

La deroga della Porsche non rappresenta però la questione fondamentale. Molto più rilevante è il danno politico provocato da questo episodio. Attraverso una serie di scelte stravaganti nel corso degli anni, tra le quali ricordiamo il forte sostegno ai gasdotti russi del Nord Stream 2 nel Mar Baltico, la Germania si ritrova sempre più isolata a livello europeo. E adesso Scholz ha creato un precedente pericoloso, ovvero che è accettabile che un grande stato membro chieda di riaprire accordi già siglati. Vale la pena ricordare che ciò corrisponde esattamente a quanto fece la Thatcher, quando chiese il riesame del bilancio Ue, una questione che si riteneva già risolta. In seno al Consiglio europeo, istituzione gestita in base a regole non scritte, si osservano molteplici dinamiche di gruppo. Viktor Orbán, il primo ministro ungherese, non ha aperto bocca durante l’incontro, ma si sarà certamente convinto che è lecito comportarsi a quel modo. Ritornare sulle decisioni già convenute rappresenta il modus operandi del populismo. Giorgia Meloni, primo ministro italiano, non avrebbe mai osato fare una cosa del genere, ma se lo fa la Germania, vuol dire che possono farlo tutti.

Capisco benissimo che i paesi hanno i loro interessi nazionali da difendere, ma salvare la Porsche non è nell’interesse vitale della Germania, comunque vogliamo definirlo. Tutto sommato, lo sconto accordato al Regno Unito non ebbe motivazioni altrettanto meschineNel 2014, per esempio, fu pari a 6,1 miliardi di euro. Il veto di Cameron nel 2010, invece, apparteneva alla categoria della grettezza. L’ex premier inglese contestò le modifiche proposte alla legislazione dei servizi finanziari, che rischiavano di penalizzare la City londinese. Ironia della sorte, l’isolamento di Cameron, che contribuì al referendum sulla Brexit, lasciò la City in una situazione molto più pesantemente svantaggiata.

Nel suo discorso sull’Europa, la Germania si sta avviando sulla stessa strada imboccata dal Regno Unito dieci, vent’anni fa. Tra i due paesi esiste tuttavia una considerevole differenza. Se la presenza del Regno Unito non era indispensabile alla sopravvivenza dell’Ue, è difficile immaginare un’Unione europea senza la Germania. Con le progressive restrizioni oggi in atto in ambito fiscale, non mi sorprenderebbe se uno di questi giorni Scholz si recasse a Bruxelles per reclamare indietro i suoi soldi.

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