Commentary on Political Economy

Monday 9 October 2023

 

L’orribile caccia all’uomo voluta dai capi di Hamas

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Quelle immagini parlano e ci dicono che siamo di fronte a qualcosa di mostruoso: si tratta di odio etnico, la pulsione a eliminare qualcuno per ciò che è, a prescindere da quel che fa

George Orwell, durante la guerra di Spagna, non ci riuscì. Non riuscì ad uccidere il «nemico» che fuggiva davanti a lui senza aver avuto il tempo di vestirsi. «Ero venuto per colpire un fascista, ma un uomo che si regge i pantaloni che stanno per cascargli non è un fascista, è evidentemente un nostro simile, e questo pensiero mi tolse ogni desiderio di sparargli».

Nel 1916, durante la Grande Guerra, qualcosa di analogo accadde a Emilio Lussu sull’altopiano di Asiago. Era riuscito a strisciare fino alla trincea nemica quando un soldato austriaco, ignaro della sua presenza, si era acceso una sigaretta, offrendosi così a un facile tiro. «Quella sigaretta creò un rapporto improvviso fra lui e me... avevo di fronte un uomo. Un uomo! Tirare così a pochi passi su un uomo...come su un cinghiale». Non sparò.

Nel suo ultimo libro Pierluigi Battista cita questi due episodi come il confine, il limite «alla deriva disumana della caccia all’uomo». Basta che si riveli un barlume di quell’umanità che il nostro nemico condivide con noi (fumare una sigaretta, tenersi su le braghe) per avvertire una barriera morale, l’intimazione a non uccidere un simile, anche se indossa un’uniforme nemica. Ma come si può allora sparare su ragazzi che fuggono, su mamme che tengono stretti a sé i figli, su anziani colti nel sonno, gente che non indossa altro che la stessa pelle dei loro assassini?

Si dirà: in tutte le guerre si uccidono i civili. Ed è vero. Ed è atroce. Ma il più delle volte avviene da lontano, indiscriminatamenteAnche l’esercito israeliano uccide civili nei Territori occupati, troppi e troppo spesso. Le guerre sono raccapriccianti innanzitutto per questo, perché gli eserciti uccidono gli innocenti. Ma i soldati non selezionano le loro vittime. Le presentano come «danni collaterali»: è ipocrita, ma è pur sempre la consapevolezza di un limite varcato. E se si scopre che hanno agito oltre i loro doveri militari, per sadismo o imperizia, si affannano a negare, a trovare giustificazioni, pur di coprire la propria colpa. Almeno questo la storia della civiltà umana ha ottenuto: non è lecito uccidere, neanche in guerra, chi non indossa un’uniforme e non minaccia la tua vita.

Il terrorismo fuoriesce da questa logica. Chi fa esplodere una bomba sa che sta per uccidere tanti civili innocenti. Ma non li vede in faccia. Non sa chi sono. Li considera carne da macello, numeri, bilanci di vittime da infliggere al nemico, più ne faccio fuori e più ottengo il mio scopo. Sparare a un uomo mentre fugge, come a un cinghiale, è un’altra cosa. Gli esseri umani non sono buoni per natura. Nascono però dotati di impulsi che possono distoglierli dalla violenza, il primo dei quali è l’empatia, che ci spinge a provare il dolore degli altri, a condividerne l’angoscia. È la forza che ha fermato il dito sul grilletto di Orwell e di Lussu.

Ciò che è accaduto sabato sul confine della Striscia di Gaza varca quel limite. Non è guerra, e non è neanche terrorismo. È una razzia. Appartiene a un genere di violenza precedente alla civilizzazione umana. È la logica della tribù: cerco, stano e uccido quelli che non fanno parte della mia. È una caccia all’uomo primordiale, proviene da quelli che Steven Pinker nella sua monumentale opera sulla violenza definisce i «demoni interiori» che abitano i bassifondi dei nostri sistemi psicologici profondi, da prima che civiltà e società inventassero l’etica: la volontà predatoria, la dominanza come brama di gloria, la vendetta come spinta moralistica al castigo, il sadismo come piacere per la sofferenza altrui. E l’ideologia, il demone peggiore di tutti, più che mai quando si fonde con la fede e corrompe la religione: «Una visione utopica che giustifica una violenza illimitata nel perseguimento di un bene illimitato». In questo caso, la distruzione di Israele e la cacciata o la morte di tutti gli ebrei in Medio Oriente.

Ciò che è successo sabato ha dunque i connotati della «pulizia etnica». Mostra che cosa farebbe quel movimento millenarista e fanatico che è Hamas, così radicalmente diverso dalle stesse origini del nazionalismo palestinese, se potesse risolvere a modo suo la «questione ebraica». Per questo la modalità della loro azione somiglia così da vicino alle razzie naziste nei ghetti ebraici dell’Europa, durante la Seconda guerra mondiale. Quelli prendevano gli ebrei casa per casa e li portavano nei campi di sterminio, per ucciderli su scala industriale con il gas. Questi li prendono casa per casa e li uccidono sul posto. O li fanno ostaggi, per prolungare la tortura loro e delle loro famiglie.

Se non si vede questo, se qualcuno in Europa ancora crede e dice che ciò che è avvenuto prima, che le colpe di Israele, che il contesto mediorientale, che la storia delle guerre in Palestina, possano spiegare o addirittura giustificare ciò che ha fatto Hamas, vuol dire che è disposto ad accettare la logica del genocidio all’interno del conflitto politico. Varcando così a sua volta il confine della disumanità.

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