Commentary on Political Economy

Tuesday 3 October 2023

 

Milano «come Gotham city»? L'allarme sicurezza è fondato? Numeri, realtà (e percezione) dei reati commessi in città

Milano «come Gotham city»? L'allarme sicurezza è fondato? Numeri, realtà (e percezione) dei reati commessi in città

Controlli sui Navigli (LaPresse)

Negli anni Novanta a Milano gli omicidi superavano quota 100, oggi sono diminuiti dell'80%. Salgono però i reati «di strada»: piccole rapine, risse e borseggi. E mentre i social creano un effetto di «sovraesposizione», criminalità organizzata e traffico di droga si sviluppano lontano dai riflettori

Se volete capire qualcosa della questione sicurezza a Milano fatevi il giro in due luoghi. Il primo è uno qualsiasi degli avamposti della movida. Vedrete studenti e turisti che arrivano da ogni pezzo di mondo, giovani milanesi che si divertono e a volte si sballano, magari con macchinoni, borsette di lusso o orologi da decine di migliaia di euro al polso. Un mondo che a volte sotto l’apparenza nasconde cocaina, festini, ketamina. E ragazzi giovanissimi che girano in gruppo, dove il più anziano non arriva a vent’anni. E dove, più che l’etnia, la zona di provenienza, la lingua o il colore della pelle, conta più l’appartenenza a una sorta di ceto sociale che caratterizza non più i «terroni» o gli «immigrati», ma semplicemente gli esclusi. Quelli fuori target: non hanno soldi e non ne possono spendere, non entrano in locali e privé, non ordinano champagne millesimati o crudité di pesce. Anzi, se i primi sono le prede, loro nelle notti milanesi diventano spesso i predatori. Non tutti, sia chiaro. Ma aggressioni, risse, rapine, pestaggi, hanno quasi sempre lo stesso comune denominatore.

Altro luogo: una qualsiasi periferia. Qui vedrete spesso gruppetti di stranieri bivaccare, ragazzi rumorosi rovesciati sulle panchine di un parco, ma soprattutto vedrete spazzatura, degrado, abbandono, disagio psichico e avrete l’impressione costante di respirare aria mischiata a benzina. Una miscela pronta ad esplodere da un momento all’altro. Anche se, nei fatti, forse nessuno si avvicinerà a voi per molestarvi, per rapinarvi, per aggredirvi. Ma è innegabile che esistano zone dove non solo di sera la percezione dell’insicurezza è presente e costante. Specie per una donna. Il metro di valutazione non è la statistica dei reati, ma una sensazione generale che passa anche da un cestino della spazzatura stracolmo, rovesciato o semplicemente assente. È degrado, incuria, ma è anche insicurezza.

Normalmente quando si parla di sicurezza a Milano si finisce sempre per concentrarsi sugli effetti più visibili: la stazione Centralele ladre rom in metropolitana, i quartieri popolari più complicati dal Corvetto a via Padova fino a San Siro. Ma è come se così si perdesse di vista il quadro generale. Se oggi i milanesi si sentono meno sicuri non è solo per la presenza - innegabile - di zone ghetto (piazzale Selinunte è un caso di studio). Ma è per vari motivi. Uno ha a che fare con quella che il questore Giuseppe Petronzi ha definito «l’aspettativa di sicurezza dei milanesi». La pretesa (giusta) che in una città efficiente dove le case si vendono ormai ovunque oltre i 5 mila euro al metro quadrato e dove uno spritz viene fatto pagare 12 euro, anche la questione sicurezza sia gestita in modo efficiente e risolutivo. 

Se mi rompono il vetro della macchina per rubarmi la borsa della palestra pretendo che la polizia o i carabinieri intervengano, ben sapendo che difficilmente i ladri saranno individuati, ma in qualche modo il semplice contatto visivo, il dialogo, con un agente in carne e ossa è spesso già una risposta sufficiente a sentirsi protetti. È una pretesa alta, in una città con quasi un milione e mezzo di abitanti. Polizia e carabinieri non possono fare miracoli, le forze sono quelle che sono.

L’altro aspetto ha a che fare ancora con il degrado. Se sotto casa ho un tombino rotto e una transenna a delimitare un intervento di riparazione che per mesi non si palesa, mi capiterà di vedere il buco riempirsi di bottiglie di birra, di rifiuti, la transenna a terra, o magari distrutta. Tutto ciò mi darà la sensazione di abbandono prima e di pericolo generale poi. La famosa «terra di nessuno» inizia spesso dall’incuria. 

C’è poi il tema dell’immigrazione che è senza dubbio un problema. Anche se non è automaticamente un tema di sicurezza. Lo è quella fuori controllo, fuori dal sistema accoglienza che in questi anni è risultato purtroppo insufficiente. Lo è quella dei minori non accompagnati, vite ai margini che fingiamo di non vedere. E c’è soprattutto il tema del disagio psichico. I reati compiuti da persone con disturbi mentali sono in forte aumento. Chi pensa che il carcere a oltranza sia la soluzione vive nel secolo sbagliato.

I dati dicono che il numero generale dei reati è in calo. Salgono però negli ultimi due anni quelli legati ai reati di strada: piccole rapine, aggressioni, risse, pestaggi, borseggi. Negli anni Novanta a Milano gli omicidi sfioravano e a volte superavano quota 100, oggi si arriva alla ventina. Allora c’era una criminalità organizzata mafiosa e autoctona spietata e sanguinaria. Nel 1999 il caso Milano ribaltò l’agenda politica del governo con i famosi nove omicidi in nove giorni. Sono passati 24 anni e oggi l’inabissamento dei reati di criminalità organizzata (non si spara, ma si fa affari) ha reso più visibili reati un tempo sottovalutati. La disperazione, le povertà, e per assurdo l’assenza di un controllo vero del territorio della malavita, hanno reso i piccoli delinquenti più violenti e feroci. 

Oggi i reati più sottovalutati sono invece quelli di mafia e di droga. La mafia non crea allarme sicurezza ma droga l’economia. Però - assurdamente - questo non sembra essere un problema, anche se le conseguenze per la vita degli imprenditori e dei milanesi tutti sono pesantissime. Ma gli effetti non finiscono nei video sui social o sulle pagine che in questi anni si sono moltiplicate in cui il filmato di due ubriachi che litigano per una lattina di birra diventa virale e fa il giro d’Italia. 

Milano soffre di sovraesposizione. Il nuovo delegato del sindaco per la questione sicurezza Franco Gabrielli ha detto subito che «Milano non è Gotham city». E ha ragione. Ma sui social l’immagine è questa. Immagine reale, non contraffatta, ma sovraesposta.

Il tema della droga è invece scomparso del tutto. Quanto influisce l’abuso di sostanze sulle notti milanesi, anche da un punto di vista criminale? Gli stupefacenti sono così diffusi da essere normalizzati, accettati. Soprattutto nei ceti alti. Chi ruba una collanina a un coetaneo lo fa spesso per comprarsi una «botta» di cocaina o un etto di fumo da dividere con gli amici. Il problema unisce le classi più abbienti e quelle più povere. Ma sulla droga, specie tra i giovanissimi, si fa pochissimo. Basta parlare con don Gino Rigoldi, con don Antonio Mazzi, con Simone Feder «l’angelo di Rogoredo», o con Riccardo Gatti medico esperto di dipendenze per farsi un’idea precisa. Esiste a Milano un welfare della droga che coinvolge intere famiglie, a volte interi caseggiati, ma quelle della giustizia sono spesso porte girevoli. In questo senso le ultime riforme della Giustizia hanno peggiorato le cose anziché migliorarle.

Da ultimo, ma non secondario, c’è un fattore culturale: ragazzi di 15 o 16 anni che davanti a polizia e carabinieri non abbassano lo sguardo ma, anzi, alzano spesso le mani. Aggressività ad alti livelli. Chi sta su una Volante o su una pattuglia del Radiomobile dell’Arma lo sa benissimo. E non di rado i genitori fanno altrettanto. C’è un modello imperante che è un misto di «Gomorra» e di narrazioni della musica trap (spesso inventate) che viene scambiato con la quotidianità. C’è anche in questo un abbandono e un degrado legato a modelli culturali che fanno apparire «sfigati» i buoni e «fighi» i cattivi. Aver lasciato molte periferie in una situazione di povertà culturale enorme, mentre in centro sfilava la moda o il salone del mobile, ha contribuito molto. 

Il prefetto Gabrielli dovrà fare i conti anche con l’annosa questione della polizia locale. Forza di polizia in crisi di vocazione che in questi anni s’è trasformata in qualcos’altro sovrapponendosi a polizia e carabinieri ma dimenticando il suo ruolo. Quello di sentinelle nei quartieri, di avamposti di piccola ma fondamentale legalità, di coltivatori del territorio. E sul territorio. La sicurezza è anche sentirsi sicuri quando si va a piedi, quando si va in bici, quando si pedala su piste ciclabili che sono soltanto disegnate sull’asfalto. La mobilità sostenibile è realtà quotidiana, lo è anche il fatto di essere sempre più utenza debole. A rischio. Forse in questo i vigili potrebbero giocare una partita importante. Basta osservare un attraversamento pedonale o un semaforo per rendersi conto di quel che davvero succede tra rossi bruciati e telefonini in mano. Certo la colpa è di chi commette reati e infrazioni, la responsabilità penale è sempre individuale. Ma il numero di morti per incidenti stradali a Milano degli ultimi mesi è impressionante. Più delle vittime di omicidio.

Per far capire quanto sia cambiata la criminalità in questi ultimi anni basti pensare che alla «gloriosa» Squadra Mobile, che un tempo dava la caccia ai Vallanzasca e ai boss dei sequestri. Oggi molti investigatori sono stati «riconvertiti» in cacciatori di piccoli rapinatori, predoni di orologi o di truffatori di anziani. Esigenza di un mondo che è cambiato, ma passaggio non scontato visto che si parla di una élite di investigatori un tempo dedicati a indagini ben più «toste». Oggi l’urgenza è quella e le risposte sono subito arrivate. I numeri dicono che più dell’80 per cento dei casi trattati ha portato all’individuazione del responsabile. Dato che si può leggere in molti modi: sono criminali improvvisati, spesso in carcere ci restano poco. Ma anche da un’altra prospettiva: la risposta repressiva c’è, ma da sola non è sufficiente. Chissà se Gabrielli riuscirà a farlo capire alla politica. 

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