Commentary on Political Economy

Friday 3 November 2023

 

Di colpo l'Ucraina è sola. Dov'è finita l'Europa?

desc img
03 novembre 2023

Il conflitto sul terreno tra Mosca e Kiev ristagna e la guerra in Israele distoglie l'attenzione degli Stati Uniti. L'Ue potrebbe farsi avanti per dare un segnale a Putin

Di colpo l’Ucraina si sente più sola. Proprio mentre il conflitto sul terreno ristagna e le speranze di ricacciare indietro l’invasore russo vacillano, due sviluppi indeboliscono la posizione di Kiev. Il primo è la guerra in Israele, che distoglie attenzione e risorse degli Stati Uniti. Il secondo, collegato, viene dalla politica interna americana: il debutto della nuova leadership repubblicana alla Camera di Washington avviene separando gli aiuti a Israele da quelli destinati all’Ucraina. I primi vanno approvati subito, i secondi devono aspettare. Con un supporto americano che diventa meno solido e meno certo, sarebbe il momento di farsi avanti per l’Europa con una sua assunzione di responsabilità e un maggiore impegno nella difesa dell’Ucraina. Per ora questo non sta accadendo.

Di colpo appare più chiaro il successo che incassa Vladimir Putin dall’apertura di un «secondo fronte» in Medio Oriente. È in questa chiave che va letto anche il rafforzamento della cooperazione militare tra Russia e Iran, il mandante della strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre. L’Iran ha fornito armi a Putin per la guerra in Ucraina, ora Mosca scambia il favore: si parla di difese anti-missile in arrivo a Teheran dalla Russia, e anche di nuovi armamenti che il Gruppo Wagner darebbe agli Hezbollah. Il Gruppo Wagner è già presente da anni in Siria, da dove sono partiti degli attacchi (per ora limitati) contro Israele.

Si è parlato e si parlerà ancora molto del fallimento dell’intelligence israeliana, per non aver previsto la terribile offensiva di Hamas. Anche l’intelligence americana è stata chiamata in causa. Ma non è solo una questione di servizi segreti e agenzie di spionaggio. L’intero Occidente sembra afflitto da una inquietante incapacità di interpretare i propri nemici, prevederne le mosse. Si è sottovalutata la determinazione del regime sciita di Teheran di impedire ogni processo di pace che lo avrebbe isolato. Si è sottovalutata la capacità di Putin, pur immerso in tante difficoltà militari ed economiche, di progettare nuovi focolai di conflitto in altre parti del mondo per destabilizzare l’Occidente.

A questo proposito segnalo un altro caso che ha qualche analogia con il Medio Oriente: il Venezuela. Come era avvenuto per l’Iran e la sciagurata promessa di 6 miliardi in cambio di ostaggi americani, anche con l’autocrate Maduro l’Amministrazione Biden ha creduto di poter avviare un disgelo. Rischia di essere beffata anche in Venezuela. Maduro sta sabotando la possibilità di elezioni democratiche. Al tempo stesso vuole un referendum che gli consenta di aggredire la vicina Guyana dove sono stati scoperti immensi giacimenti energetici. Ci manca solo una guerra in Sudamerica per arricchire il quadro delle «distrazioni».

E poi, sarà il turno della Cina? È poco verosimile che Xi Jinping voglia compiere atti clamorosi prima del suo vertice bilaterale con Biden (previsto a San Francisco a metà novembre, al margine della conferenza Asia-Pacifico). Ma il crescendo di aggressioni navali cinesi nei confronti dei propri vicini, nonché le incursioni su Taiwan, stanno già creando una nuova atmosfera di allarme permanente in alcune parti dell’Asia.

L’America ha il fiato grosso, nell’occuparsi di tutti questi conflitti, già esplosi o potenziali. La politica interna non l’aiuta. Ha esordito nel suo incarico il nuovo Speaker of the House, il repubblicano Mike Johnson. Il suo primo atto rilevante in questo ruolo di presidente della Camera ha riguardato proprio la politica estera. La maggioranza repubblicana ha approvato un pacchetto di aiuti a Israele per 14 miliardi di dollari, ma ad una condizione che l’Amministrazione Biden considera inaccettabile: quei fondi sono stati reperiti sottraendoli ad un finanziamento di 80 miliardi che la Casa Bianca vuole destinare all’Internal Revenue Service, l’Agenzia delle Entrate. La logica repubblicana è quella di imporre una disciplina di spesa, per arginare l’escalation del deficit e del debito federale. La burocrazia del fisco secondo i repubblicani divora risorse eccessive. Questa mossa di Johnson prepara uno scontro con l’altro ramo del Congresso, il Senato a maggioranza democratica.

In quanto all’Ucraina, Johnson ha promesso che non verrà lasciata sola, ha proclamato che Putin non deve vincere perché minaccerebbe altri paesi europei. Però ha scorporato gli aiuti all’Ucraina chiesti da Biden rinviandoli a un’altra legge e in un altro momento. Anche in quel caso i repubblicani esigeranno contropartite, per esempio nella chiusura della frontiera del Messico dove affluiscono migranti illegali. Insomma abbiamo anticipato di un anno «l’effetto-presidenziali». Tra un anno voteremo per un nuovo presidente, e il ritorno di Donald Trump non è uno scenario impossibile (stando ai sondaggi attuali). Ancora prima di sapere chi conquisterà la Casa Bianca nel novembre 2024, abbiamo un trumpiano alla guida della Camera e le conseguenze per gli alleati si fanno sentire. L’Ucraina ha ragione di temere che diventi più aleatorio, ondivago e fragile il sostegno del suo alleato più forte. Certo, l’Europa potrebbe farsi avanti per riempire preventivamente un possibile vuoto di leadership americana e dare un segnale inequivocabile a Putin. Qualcuno l’ha vista?

No comments:

Post a Comment