Commentary on Political Economy

Friday 24 November 2023

DO MUSLIM ARABS REALLY WANT PEACE?

 

«La pace può essere solo araba»

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di Victor Magiar
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7 min
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La pace non passa da Bruxelles, Washington, Pechino o Mosca: da 100 anni è nelle mani dei leader arabi

Caro direttore, Due Popoli Due Stati, questa è la formula magica evocata da tutti come soluzione del conflitto mediorientaleMa questa formula — oltre alla creazione di due stati indipendenti, uno accanto all’altro — significa anche un’altra cosa, ovvero il trionfo di Israele: la pace è per Israele il coronamento del proprio traguardo storico.

È per questo motivo che il panarabismo prima e il panislamismo poi non hanno mai accettato un accordo con Israele; è per questo motivo che diversi Stati arabi o islamici (e non solo quindi le molte organizzazioni nazionaliste o islamiste, tipo Hamas) non accettano la formula due popoli due stati, ovvero l’esistenza dello Stato d’Israele.

Questa storia (che inizia nel 1870 quando in quella terra contesa vivevano solo 450 mila persone, oggi se ne contano 14 milioni) ha il suo punto di svolta nel 1948 quando, pochi mesi dopo il voto dell’Onu che sanciva una ragionevole spartizione, diversi eserciti arabi attaccavano il neonato Stato d’Israele.

Come conseguenza di quella aggressione, oltre alle migliaia di morti, avrà luogo l’esodo di migliaia di ebrei palestinesi dalle terre occupate dagli eserciti arabi, avrà inizio l’esodo forzato di quasi un milione di ebrei dai paesi arabi e avrà luogo l’esodo (in parte forzato) di centinaia di migliaia di arabi palestinesi raccolti nei famigerati campi profughi.

Sarà quella prima ed inutile guerra a sancire de facto la nascita dello stato multietnico di Israele — stato rifugio per ebrei, drusi, bahai, circassi, ecc. — e la non-nascita di uno stato palestinese nelle terre occupate da Egitto e Giordania. Accettare Due Popoli Due Stati significa quindi riportare le lancette della storia indietro al 1947: per il mondo arabo significa accettare la responsabilità storica e morale di quasi 80 anni di guerre, con centinaia di pogrom, con migliaia di morti e milioni di profughi.

Probabilmente la più grande sciagura per il popolo palestinese è stato il fatto che per decenni la bandiera della causa palestinese sia stata agitata da vari dittatori arabi, o per assurgere come leader regionali o per distrarre le proprie popolazioni dai problemi reali dei propri paesi. Terminata la fallimentare stagione dei dittatori arabi è iniziata quella dei pericolosi regimi integralisti, a volte non-arabi ma di dottrina islamista.

La Storia ci ha anche regalato una breve stagione di speranza, dalla prima Intifadah del 1988 alle trattative fallite di Camp David del 2000, quando israeliani e palestinesi avevano preso nelle loro mani il proprio destino, liberi dai condizionamenti dei regimi arabi e dal confronto-scontro fra le superpotenze. Ma, come ci hanno insegnato Anwar al-Sadat e Yitzhak Rabin, entrambi assassinati da estremisti religiosi, per fare veramente la pace ci vuole lungimiranza e molto coraggio, un coraggio che Yasser Arafat non ha mai avuto fino in fondo.

Dal 2000, con il fallimento degli Accordi di Camp David, si è generato un grave stallo politico e le leadership israeliana e palestinese hanno furbescamente pensato che lo status quo potesse lavorare a proprio vantaggio: le due società sono quindi progressivamente scivolate verso il baratro, verso posizioni oltranziste.

Nella società israeliana le fratture culturali e politiche sono silenziosamente cresciute nel tempo fino ad esplodere nel 2023 nelle contestazioni di massa, durate mesi, contro il peggiore governo della storia d’Israele, segnato dall’oltranzismo nazionalista e condizionato dal messianismo religioso, screditato in patria come all’estero.

Nella società palestinese è cresciuto Hamas, finanziato a dismisura dall’Iran (e non solo), sia per armarsi che per guadagnare il consenso della popolazione offrendo quella assistenza sociale che l’Anp ha sempre stentato a dare.

Dal 2000, finita la stagione di speranza, la bandiera della causa palestinese è finita nelle mani di pericolosi regimi islamisti, proprio quando il mondo si infiammava su scala globale per l’escalation islamista e jihadista.

Proprio come conseguenza e rigetto della minaccia islamista e jihadista, e per superare lo stallo israelo-palestinese, ha preso forma negli ultimi anni un nuovo fronte composto da diversi regimi arabi (impropriamente definiti moderati) che, rompendo con le ideologie del passato, hanno stabilito con Israele rapporti diplomatici e di collaborazione, anche sul piano militare.

Così nascono gli Accordi di Abramo, non contro i palestinesi (come affermato da diversi detrattori) ma tesi a costruire una cornice di pace, di stabilità, che potesse portare all’accordo finale fra israeliani e palestinesi, un po’ come ricomporre un puzzle partendo dai pezzi perimetrali.

Contro questa strategia, contro l’accordo di valenza epocale fra Arabia Saudita e Israele, contro la pace in Medio Oriente, il 7 ottobre 2023 è stato scatenato l’attacco di Hamas, formazione integralista teleguidata da Teheran, al pari degli Hezbollah libanesi o degli Huthi yemeniti, anche loro impegnati ad attaccare Israele.

Il conflitto arabo-israeliano (e non israelo-palestinese come definito dalla propaganda sovietica negli anni Sessanta) ha la sua reale origine nello scontro dentro il mondo arabo-islamico, fra le visioni e le ideologie più tolleranti e quelle totalitarie, panarabismo e panislamismo. È bene ricordare che questa divisione si riproduce ormai da anni anche nella società palestinese, con Fatah sostento dai paesi arabi e con Hamas sostenuto (con diverse modalità) da Iran, Qatar e Turchia.

Da 100 anni queste due visioni si scontrano e si misurano a danno non solo dei loro popoli ma, soprattutto, a danno dei palestinesi e degli israeliani.

Da 100 anni, ogni leader arabo che ha scelto la via del dialogo e del compromesso è stato rovesciato dalle fazioni nazionaliste o islamiste.

Quello in corso ora è l’ennesimo, forse decisivo, scontro nel mondo arabo-islamico fra due visioni, fra chi sostiene il compromesso del Due Popoli Due Stati e chi insiste nel radicalismo del famigerato Dal Fiume al Mare.

È in ballo il destino di tutti i popoli della regione, in bilico fra modernità e integralismo.

È ora che la leadership del mondo arabo più tollerante prenda in mano l’intera vicenda sottraendola a Turchia, Iran e Qatar e che — possibilmente con il sostegno Usa e Ue — forzi al compromesso sia la leadership palestinese che quella israeliana.

La pace in Medio Oriente non passa da Bruxelles, Washington, Pechino o Mosca: da 100 anni la pace in Medio Oriente è nelle mani dei leader arabi e sarebbe ora che lo capissero anche i leader europei. La pace può essere solo araba.

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