Commentary on Political Economy

Wednesday 24 August 2022

La «nuova guerra» per l’energia è cominciata: cosa ci dice il viaggio di Scholz in Canada

di Federico Rampini

24 agosto 2022

Il premier tedesco è più preoccupato di quello italiano dalla penuria di gas naturale prevedendo tagli fino al 20%. La risposta del premier canadese Justin Trudeau non è confortante: il Canada ha tanto gas ma “nei posti sbagliati”. Sia come giacimenti, che come infrastrutture per l’export


La nuova guerra per l’energia è cominciata, il viaggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz in Canada lo dimostra. Gli italiani preoccupati per la stangata sulle bollette e i razionamenti di elettricità in arrivo, devono seguire con attenzione le mosse della più grande economia europea. La Germania non sta solo contribuendo a far impazzire i prezzi del gas naturale con la sua politica di accaparramento di scorte; sta anche guardando al futuro. Sta facendo oggi quel che avrebbe dovuto fare vent’anni fa.


Il prossimo governo italiano corre il rischio di arrivare in ritardo, quando altri avranno già messo un’ipoteca sulle energie del futuro. La missione di Scholz in Canada ha trattato molti temi: le cronache si sono focalizzate soprattutto sulle forniture di gas naturale e quelle di idrogeno. Ma per importanza strategica la partita più interessante riguarda gli acquisti di litio e altri minerali rari per le batterie di cui avrà sempre più bisogno l’industria automobilistica tedesca, se vuole realizzare i suoi piani di conversione a gamme “tutte elettriche”. Da notare la coincidenza con l’annuncio che la California – il più grosso mercato statunitense e un’importante sbocco per il made in Germany – vieterà la vendita di auto a benzina o diesel dal 2035.


Il Canada è un attore fondamentale nella grande partita geostrategica sulle terre rare e altri minerali o metalli come il litio. Chi non afferra l’importanza di questa sfida, parla a vanvera di “transizione sostenibile”. Di sicuro l’hanno capita Mercedes Benz e Volkswagen, che in occasione della missione di Scholz hanno firmato accordi con partner canadesi per assicurarsi l’accesso a nickel, cobalto e litio, tre componenti essenziali per le batterie.


Andando per ordine cronologico, torniamo al gas naturale che è stato il primo tema nell’agenda della missione Scholz a Ottawa. Il governo tedesco sembra più preoccupato di quello italiano dalla penuria e già pianifica razionamenti di corrente elettrica per l’autunno-inverno con tagli fino al 20%al 20%, chiusure di fabbriche, orari ridotti per negozi e centri commerciali. Il viaggio in Canada è stato l’occasione per andare a negoziare forniture di gas liquido presso uno dei grandi produttori mondiali.


La risposta del premier canadese Justin Trudeau non è confortante. Il Canada ha tanto gas ma “nei posti sbagliati”. Sia come giacimenti, che come infrastrutture per l’export (terminali, porti attrezzati), il baricentro è sulla West Coast, lontanissima dall’Europa. Ci sono progetti per costruire nuovi terminali sulla costa atlantica del Canada, quindi rivolti verso l’Europa, ma ci vorranno anni perché siano pronti. D’altronde è normale che sia così: fino a tempi molto recenti i più grandi acquirenti di gas liquido erano in Asia, erano nell’ordine Cina Giappone e Corea. In parte lo sono tuttora. Questo ci ricorda che la crisi energetica attuale non nasce affatto con la guerra in Ucraina.


È uno choc energetico che ha vent’anni di storia, è strettamente legato al boom dei consumi cinesi, e temporaneamente attutito o mascherato da alcuni eventi contingenti (la recessione del 2008 e la pandemia che limitarono i consumi; l’estrazione di shale oil e shale gas americano che aumentarono l’offerta). È da vent’anni che l’Europa non “vede” questa crisi, anche perché in parte attenuata da contratti di fornitura con la Russia che calmieravano i prezzi, ma con costi geopolitici immensi. L’epoca del gas russo a buon mercato si è chiusa per sempre e Scholz ne sta traendo le conclusioni. La visita a Ottawa gli ha confermato che non esistono facili scorciatoie.


Tutta l’infrastruttura globale per spostare gas liquido dai grandi centri di produzione (Usa, Canada, Qatar, Australia) verso le zone di consumo, è sotto uno stress spaventoso. Il gas c’è, abbonda, ma si trova lontano da chi ne ha bisogno e spostarlo non è facile. Le navi cisterna che lo trasportano sono prenotate per mesi: c’è un solo “LNG tanker” (cioè nave cisterna per gas naturale liquefatto) ancora noleggiabile per tutta l’Asia nell’arco dei prossimi due mesi; nessuno libero in Europa. I noli che un anno fa erano di 47.000 dollari per la tratta Usa-Europa adesso sono saliti a 64.000 e nel periodo da settembre a novembre saranno a 105.000 dollari. Soprattutto, manca la capacità. I cantieri che costruiscono nuove navi cisterna sono ingolfati dalle richieste: la canteristica sudcoreana che è la numero uno mondiale non accetta nuovi ordini fino al 2027.


Questa situazione può peggiorare in autunno se la Cina è costretta ad aumentare i suoi acquisti di gas naturale. Di recente i consumi energetici cinesi si erano ridotti, in concomitanza con il rallentamento della crescita economica. Adesso però la siccità che colpisce la Cina indebolisce la produzione di energia idroelettrica, e sono già scattate misure di razionamento nell’area di Chongqing (la più grande metropoli del paese, con 30 milioni di abitanti). A corto di elettricità generata dalle dighe, Pechino può essere costretta a ritornare in forze sul mercato del gas naturale contribuendo a far risalire la domanda asiatica con nuovi ordini. Bisogna sempre ricordare che il fattore cinese ha un impatto sproporzionato negli equilibri energetici del pianeta.


Quando oggi si osserva che i prezzi del gas e del petrolio sono ai massimi storici, spesso si omette di precisare che il petrolio fu già sopra i 100 dollari per barile otto anni fa e il gas raggiunse i massimi prima che l’America diventasse autosufficiente ed esportatrice netta di shale gas. Il boom cinese al suo esordio vent’anni fa aveva già creato lo squilibrio energetico che “scopriamo” oggi. La risposta che si sente spesso in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto (ma non solo) dal fronte ambientalista, è che bisogna accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. In sostanza, è quel che dice la California con il divieto di vendere auto a combustione dal 2035. È anche per questo che Scholz è andato in Canada. Per ridurre il consumo di energie fossili e le emissioni carboniche, una sfida decisiva è il passaggio all’auto elettrica.


Le proiezioni di Bloomberg vedono un incremento delle vendite di auto elettriche dal 10% del totale l’anno scorso al 40% entro il 2030. Le case automobilistiche tedesche sono tra le protagoniste di questa transizione. Ma tutti i produttori di auto elettriche sono in una situazione di pericolosa dipendenza dalla Cina: quel paese controlla l’80% della produzione mondiale di componenti per auto elettriche. Di recente, il più grande produttore globale di batterie, la Catl cinese, ha annunciato che costruirà la sua seconda giga-fabbrica europea in Ungheria, per rifornire in particolare l’industria tedesca. Su sei grandi produttori mondiali i primi due sono cinesi, seguiti da tre coreani e un giapponese.


L’Occidente è in una situazione di drammatica dipendenza, che prefigura per il futuro situazioni simili o peggiori rispetto alla dipendenza europea dal gas russo. Il dominio cinese è rafforzato dal controllo di Pechino su tutti i materiali di base necessari per le tecnologie verdi: oltre a litio cobalto e nickel, il lungo elenco di terre rare e minerali rari che sono indispensabili per le batterie elettriche, il fotovoltaico e perfino l’energia eolica. Scholz è andato in Canada a parlare di questo, perché il Canada è uno dei pochi produttori di minerali e terre rare al di fuori della Cina (altri in Sudamerica sono già finiti sotto la longa manus di multinazionali cinesi: Argentina, Cile). La Germania ha capito che la corsa per garantirsi approvvigionamenti sicuri nei minerali rari è già cominciata da molti anni, e i cinesi la stanno stravincendo.


Bisogna muoversi subito per prevenire un disastro energetico, economico ed ecologico sul fronte delle energie verdi. Altri due fronti sono emersi con prepotenza: la Groenlandia e gli oceani. Proprio un’azienda canadese, la Neo Performance Materials, sta comprando diritti di estrazione mineraria in Groenlandia (territorio della Danimarca con ampi margini di autonomia) per andarvi a scavare materiali magnetici usati nelle batterie elettriche. La Neo di Toronto è una delle poche aziende non cinesi in grado di separare chimicamente i magneti per batterie dal terriccio estratto dalle miniere. Finora la Neo usava materiale estratto in Russia e ora ovviamente deve cercarlo altrove, di qui la puntata in Groenlandia. Ma attenzione: la Neo pur essendo canadese non effettua queste lavorazioni chimiche nel proprio paese bensì nelle fabbriche che possiede in Estonia e in Cina. Perché? Per aggirare le resistenze ambientaliste contro lavorazioni “sporche”. Per la stessa ragione l’unica altra azienda occidentale impegnata in questo business, la Lynas, estrae minerali in Australia ma li lavora in Malesia. La stessa Groenlandia ha resistito a lungo prima di concedere diritti di estrazione, sempre per ragioni ambientaliste.


Un problema analogo si pone per lo sfruttamento dei fondali marini. Il futuro delle energie pulite potrebbe  dipendere anche dall’estrazione mineraria nelle viscere degli oceani: un solo “letto oceanico” come la Clarion Clipperton Zone, tra il Messico e le Hawaii, contiene un alto volume di noduli metallici di cobalto, manganesio e litio. A Sud di quell’area, le isole Cook hanno già cominciato a esplorare i fondali marini per ricavarne quei metalli essenziali alla transizione verde; la zona marittima sotto la sovranità delle isole Cook contiene 12 miliardi di tonnellate di noduli metallici, ricchi soprattutto di cobalto.


L’International Seabed Authority, un’agenzia delle Nazioni Unite, sta fissando le regole per lo sfruttamento di queste risorse da parte dei 168 paesi membri. Ma alcune aziende occidentali si sono già precluse questa opportunità: Bmw, Renault e Volkswagen hanno firmato una moratoria su richiesta di Greenpeace, impegnandosi a non comprare cobalto estratto dai fondali marini. È un problema ricorrente.


Quando osserviamo che la stragrande maggioranza dei minerali e metalli rari indispensabili alla transizione verde si trovano in Cina o sono controllati da aziende cinesi (anche quando sono situati in altri continenti), omettiamo un pezzo d’informazione altrettanto importante. Minerali e metalli rari esistono nel sottosuolo in tante altre parti del mondo inclusi i paesi ricchi. Noi a differenza dei cinesi non vogliamo andarli a cercare, tantomeno estrarli o lavorarli, per paura dell’impatto ambientale. Gli Stati Uniti sono ricchi di queste risorse ma ne hanno praticamente azzerato l’estrazione e la lavorazione da molti anni, a causa dei veti ambientalisti. Senza questi materiali la transizione a un’economia con zero emissioni è semplicemente impossibile. Scholz è dovuto andare in Canada per trovare un paese occidentale e ricco che non si è auto-escluso del tutto da un mestiere indispensabile, se vogliamo davvero l’auto elettrica e l’energia solare.

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