Commentary on Political Economy

Monday 19 June 2023

 

«La mia Cina supera la profezia di Orwell, gli uomini ormai sono macchine»

«La mia Cina supera la profezia di Orwell, gli uomini ormai sono macchine»

Monica Ricci Sargentini

DALLA NOSTRA INVIATA CAORLE «Quando sono stato rinchiuso in prigione in Cina per aver voluto ricordare la strage di piazza Tienanmen ho toccato con mano l’inferno e ho tentato due volte il suicidio, ma lì ho capito di essere un testimone della storia per cui ho cominciato a raccogliere i racconti dei prigionieri che erano con me». Liao Yiwu mostra un foglietto con i caratteri cinesi talmente piccoli da essere quasi illeggibili. «Usavo la carta igienica e non ne avevo tanta» spiega. Lo scrittore cinese, in esilio a Berlino dal 2011, è una spina nel fianco della Repubblica Popolare di Xi Jinping a causa dei suoi libri che denunciano i crimini del regime comunista e per i quali ha vinto numerosi premi letterari. In questi giorni Liao è a Caorle per ritirare il premio Luigi Amicone 2023, dedicato al fondatore ed ex direttore di Tempi e conferito alle persone che hanno il coraggio «di chiamare le cose con il loro nome».

La scrittura diventa la sua missione. Uscito dal carcere nel 1994, si separa dalla moglie e dalla figlia per salvarle dalla persecuzione, vive come un homeless suonando per le strade della natia Chengdu nello Sichuan, dove raccoglie storie di dissidenti. Ma la polizia vigila. «Mi portavano via i manoscritti e io dovevo ricominciare da capo; il libro in cui racconto la storia degli orrori che ho subito in prigione (Un Canto, Cento Canti Mondadori n.d.r.) l’ho dovuto riscrivere tre volte — racconta davanti a un bicchiere di birra, quasi a scacciare quei ricordi —, non volevano assolutamente che uscisse. Poi arrivarono i computer e io salvavo le cose a destra e a manca».

Rimprovera ad altri scrittori cinesi, come il nobel Mo Yan, di essere opportunisti e non schierarsi. «È perché non sono mai finiti in prigione! - spiega come a volerli giustificare -Solo quando uno soffre quello che ho sofferto io, capisce che ti vogliono proprio annientare e cancellare. E allora combatte». Quando gli facciamo notare che la sua premiazione arriva nel giorno in cui il segretario di Stato americano Anthony Blinken è in visita in Cina, allarga le braccia: «Qualsiasi cosa gli dicano non è detto che la mantengano, per esempio Xi nel 2019 è venuto in Italia e sembrava che volesse fare chissà quali investimenti, ma appena è scoppiata la pandemia ha fatto dietrofront».

Sul Covid 19 Liao ha scritto un romanzo documentario — Wuhan (Guerini) — in cui accusa Pechino di aver provocato consapevolmente milioni di morti. «Perché il commercio e i voli internazionali da e per la Cina sono stati lasciati aperti quando Wuhan è stata chiusa in lockdown, consentendo così al virus di arrivare in tutto il mondo causando vittime al di fuori del Paese?» chiede in tono polemico. E accusa: «Per Pechino il virus è stata l’occasione di mettere in pratica la più imponente, onnipervasiva e tecnologicamente avanzata forma di controllo su ogni aspetto della vita della popolazione. Xi ha superato la fantasia di George Orwell in 1984». Il risultato è un Paese in cui i cittadini non possono più pensare: «I cinesi non sono più uomini, ma macchine, hanno meno diritti di un cane perché lui può abbaiare mentre se loro urlano finiscono in una cella».

Quando nel 2022 è scoppiata la protesta dei fogli bianchi contro i lockdown infiniti con la gente per strada che urlava «Partito Comunista vattene! Xi Jinping dimettiti!» il governo non ha mandato i carriarmati ma ha deciso di togliere improvvisamente ogni restrizione per frenare la pandemia: «Senza vaccini e medicine, le persone appena sfuggite ai lockdown e al virus di Wuhan lasciato libero di mutare - spiega il dissidente — si trovarono alla mercé del “Grande balzo in avanti” dell’infezione da Covid. Il numero di persone diventate improvvisamente positive aumentò a centinaia di migliaia, milioni, decine di milioni, centinaia di milioni e in un mese e mezzo superò la somma del numero di persone infettate all’estero nei precedenti tre anni. I morti sono talmente tanti che non si sa dove seppellirli».

A un certo punto Liao si alza e indica le persone che camminano sul lungomare: «So che l’Occidente sta tentando di ridurre la dipendenza da Pechino, qui non vedo nemmeno un cinese eppure il turismo è florido, Ce la potete fare». Se sogna di tornare a casa? «Considero Berlino la mia seconda patria, anche se non riesco a parlare tedesco. Tornerei solo se lo Sichuan diventasse indipendente».

Il suo pensiero corre all’Ucraina, «li ammiro molto per come combattono! Non devono assolutamente essere sconfitti. Un regime malvagio può sembrare potente, ma se si guarda alla Storia, non vale nulla. Perché i suoi crimini sono stati tutti registrati. E anche se ora ci sentiamo insignificanti nel raccoglierli, la testimonianza che ci lasciamo alle spalle in termini storici durerà più a lungo di qualsiasi tirannide».

Durante la premiazione lo scrittore prende in mano lo xiao, il flauto cinese che ha imparato a suonare in prigione, grazie a un anziano monaco. «La musica ti dà libertà interiore, le dittature hanno paura della libertà interiore», dice e le note si spargono per la sala.

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