Commentary on Political Economy

Sunday 10 March 2024

 

L’Europa aggiri il vincolo dell’unanimità

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di Massimo Riva
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Occorre un bagno di realtà accettando che nel sistema istituzionale coesistano soci di serie A e di serie B, soci più o meno avanzati sull’integrazione

Chi abbia a cuore e magari anche nella mente il progetto dell’unione politica dell’Europa è costretto a seguire con serissima preoccupazione – «Mit brennender Sorge» direbbero forse in Vaticano – il dibattito in corso un po’ dappertutto nel continente sul rinnovo del parlamento di Strasburgo. A destare allarme non è il chiacchiericcio attorno al mercato delle candidature (che in Italia è diventato il tema dominante) ovvero gli oroscopi su quale coalizione di governo riuscirà a formarsi sulla scorta dei voti raccolti. Tutto questo accade a ogni scadenza elettorale nei sistemi politici ispirati ai criteri del confronto democratico. Ciò che sconcerta è la «normalità» con la quale si trasmette all’opinione pubblica l’idea che quello della Ue sia ormai un sistema istituzionale definito nei suoi compiti e nelle sue articolazioni e ben consolidato nelle sue strutture di governo. Attenzione, direbbe il celebre bambino di Andersen, badate che così non è: quello dell’unione politica dell’Europa è ancora il ritratto di un re nudo che deve essere rivestito dei panni e dei poteri necessari a renderlo quel protagonista della scena internazionale che tanti poi invocano nei propri momenti di difficoltà. Ma senza mai fare nulla di serio perché il nuovo soggetto veda finalmente la luce.

Con la sua brutale aggressione all’Ucraina Putin ha acceso la speranza di essere proprio lui l’involontaria levatrice di un’Europa più consapevole del dovere storico di farsi soggetto politico forte e sovranazionale sulla scena mondiale. E si era cominciato anche bene: non calando le brache come di fronte a Hitler nel 1938 a Monaco. Ma l’ordine sparso con il quale i vari governi si sono mossi verso l’Ucraina ha finito per provare che l’attuale assetto dell’Ue scoraggia scelte che siano affermazioni di un disegno politico unitario e non occasionale sommatoria di singole decisioni nazionali. Se n’è avuta prova penosa all’ultimo summit di Bruxelles.

Finora soltanto con la nascita dell’euro si è riusciti ad aprire una breccia significativa in questo muro istituzionale refrattario ad ogni esercizio di potere sovranazionale. Con risultati prodigiosi: basti pensare in quanti pezzi si sarebbe polverizzato lo stesso mercato unico se le grandi crisi degli ultimi vent’anni avessero incrociato un’economia europea ancora spezzettata in quasi trenta monete nazionali. A salvarci da questi scenari da incubo – è bene ricordarlo – è stato il coraggio politico di due grandi costruttori dell’Europa, quali Valéry Giscard d’Estaing ed Helmut Schmidt che contro tutto e tutti sono riusciti a rompere il tetto di cristallo e a far passare il principio della coesistenza nel condominio comunitario di paesi con e senza la moneta unica. Con questo arrivando a far riconoscere la banale verità che sarebbe stato impossibile procedere tutti insieme appassionatamente. Principio di verità che oggi suona di specifica attualità dinanzi alla pressante necessità di affiancare al baluardo della moneta unica una forza militare comune in grado di scoraggiare a priori gli appetiti feudali del risorto imperialismo zarista. Torniamo perciò a rimettere gli stivali sulla dura terra. Anziché trincerarci dietro lo schermo del potere di veto che impedirebbe di forzare il passo, cominciamo col riconoscere che questo vincolo dell’unanimità è retaggio di una visione onirica dell’unione europea perché la regola «uno vale uno» avrà anche un bel suono egualitario ma contraddice le più elementari leggi della fisica politica. In quanto svilisce oltre il ragionevole sia peso sia ruolo di quelle differenze qualitative e quantitative fra i singoli paesi che restano comunque insopprimibili: soprattutto in termini concreti di dati demografici, economici, geopolitici e militari.

Tutte complessità e differenziazioni destinate ad accrescersi ed approfondirsi data la lunga lista d’attesa dei paesi, in particolare dell’Est, che bussano alle porte dell’Unione. Sarebbe un errore drammatico sbattere la porta in faccia a tutti costoro, a cominciare dall’Ucraina. Per evitare che la costruzione imploda su se stessa si tratta di aggirare pragmaticamente il vincolo dell’unanimismo e aggrapparsi al metodo euro: avanti in base al chi ci sta, ci sta. Così accettando che nel sistema istituzionale dell’Unione coesistano soci di serie A e di serie B ovvero soci più o meno avanzati sul terreno dell’integrazione dei rispettivi poteri sovrani. Occorre, insomma, fare un bagno nella realtà della storia continentale riconoscendo che il cammino della Ue può meglio progredire con processi di ordinata sottrazione piuttosto che di torrentizie addizioni.

Si può sperare che nella campagna in corso almeno le forze politiche maggiori si pronuncino su questi nodi strutturali della costruzione Ue?

9 marzo 2024, 21:08 - modifica il 9 marzo 2024 | 21:08

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