Commentary on Political Economy

Thursday 21 March 2024

 

Se gli Stati Uniti si disimpegnano dalla Nato: l’Europa disarmata e il gioco delle tre scimmie

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21 marzo 2024

Nei giorni scorsi, le misure dell’impreparazione europea a difendersi sono tornate in primo piano. E se l’America si disimpegnasse dalla Nato?

Se l’America si disimpegna dalla Nato e l’Europa deve imparare a difendersi da sola, che cosa significa questo in termini di spesa? Una risposta eccola qua: ci vorranno vent’anni di riarmo perché l’Europa diventi capace di respingere un attacco russo contro la Polonia o i Paesi Baltici. Vent’anni di spese per la sicurezza, per recuperare trent’anni di disarmo e smantellamento dell’industria bellica in seguito alla caduta del Muro di Berlino. E dove trovare le risorse? Ci sono tre opzioni: tagliare spese sociali; indebitarsi; usare le ricchezze sequestrate alla Russia di Putin. Per quanto sembri paradossale, questa terza opzione al momento è la meno probabile.

Le misure dell’impreparazione europea a difendersi sono tornate in primo piano nei giorni scorsi. Hanno contribuito a rilanciare il dibattito eventi drammatici: l’avanzata russa in Ucraina, la morte di Navalny, la rielezione di Putin, la reiterata minaccia nucleare da parte di quest’ultimo, le parole di Macron sull’ipotesi di mandare soldati europei a Kiev. Il 5 marzo la Commissione UE ha pubblicato un documento potenzialmente importante, il Programma per l’industria della difesa europea. In quel piano ci sono diversi obiettivi: aumentare le spese per la sicurezza, mettere in comune le risorse degli Stati nazionali, ricostruire l’industria bellica, espandere un sistema di commesse unificate superando la frammentazione nazionale degli acquisti di materiale.

I buchi nei dispositivi di sicurezza europei sono enormi già oggi, diventerebbero insostenibili nell’ipotesi di un ritiro dell’America dalla Nato, o comunque di un minore impegno degli Stati Uniti. Mentre Putin è riuscito nel suo obiettivo di trasformare la Russia in una «economia di guerra» e dirottare risorse verso le produzioni di armi, l’Europa per aiutare l’Ucraina ha svuotato i propri arsenali e la produzione non regge il passo. Quello scenario evocato sopra, di una Nato senza americani costretta a fronteggiare un attacco russo alla Polonia o alla Lituania, richiederebbe 400 miliardi di euro di investimenti nella difesa secondo la stima dell’International Institute for Strategic Studies (è lo stesso think tank ad avere calcolato i vent’anni di tempo necessari, ai ritmi attuali).

Durante la guerra fredda molti paesi europei dedicavano alla propria sicurezza il 3% del Pil. Finita la guerra fredda e dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica la spesa è crollata. I «dividendi della pace», come si usa dire, sono andati ad accrescere soprattutto spese assistenziali. Nel 2014, quando in America era presidente Barack Obama e in seguito alla prima aggressione contro l’Ucraina (l’annessione della Crimea) tutti gli Stati membri della Nato s’impegnarono a portare almeno al 2% del Pil le proprie spese militari. Molti, fra cui l’Italia, non hanno raggiunto quell’obiettivo neanche dopo la seconda invasione russa. Ora la Commissione europea indica che le nuove priorità dell’Unione devono essere da una parte la difesa, dall’altra la politica industriale. La seconda è in parte legata alla prima: si tratta di reagire a un’escalation di sussidi che vede America e Cina impegnate a rafforzare le proprie posizioni in settori strategici come i microchip (sulla competitività europea sono al lavoro le task force guidate da due ex premier italiani, Mario Draghi ed Enrico Letta).

I tempi dell’Unione però sono sempre lunghi. Mentre le forze armate russe avanzano in Ucraina, il dibattito sulla difesa europea dovrà aspettare prima le elezioni dell’Europarlamento, poi l’insediamento della nuova Commissione UE a Bruxelles. In altri termini: è tutto fermo fino all’autunno inoltrato. I nodi da sciogliere sono tanti, a cominciare da dove reperire le risorse che vanno destinate alla difesa. L’ultimo rapporto della società di analisi Eurasia Group indica queste fonti di finanziamento, in ordine decrescete di probabilità: una riforma del bilancio europeo, l’emissione di nuovi bond europei, o l’uso delle riserve della Russia sotto sequestro. L’ultima dovrebbe essere la più facile e indolore, per il contribuente europeo, ma continua a scontrarsi con enormi resistenze. Sull’emissione di eurobond per la difesa pesa l’incognita tedesca, molto dipende se in casa propria la Germania accetta di escludere le spese militari dal tetto costituzionale sul deficit. Riformare il bilancio UE può voler dire molte cose, ma su quel bilancio peseranno anche i costi dell’ingresso dell’Ucraina, paese grande, povero, agricolo.

Le incognite maggiori sono ancora altre. Chi sta occupandosi seriamente di preparare le opinioni pubbliche europee a questa svolta storica, a questo cambio di paradigma? Il «pacifismo» ingenuo o ipocrita ha aiutato Putin ad arrivare fin qui e potrà spianargli la strada ad ulteriori aggressioni espansioniste, ma siamo ben lungi dall’avere una diffusa presa di coscienza tra gli elettori. Chi dice che c’è incompatibilità tra Welfare e difesa non ha studiato il modello americano. Contrariamente ai pregiudizi disinformati degli europei, gli Stati Uniti hanno un sistema di Welfare, in certi casi perfino più generoso: vedi i 5.000 miliardi distribuiti durante la pandemia, o le generose elargizioni agli immigrati illegali.

Il Welfare americano è incompreso dagli europei perché è federalista e fatto «a strati», alle spese federali si aggiungono quelle dei singoli Stati. La spesa militare americana ha subito anch’essa una ritirata dopo il 1991 benché rimanga a livelli molto superiori a quella europea. Il caso Usa dimostra che questa spesa ha ricadute benefiche sull’economia, l’occupazione, l’innovazione tecnologica. Però in una fase di recupero e ricostruzione della difesa come quella che l’Europa deve affrontare, ci sarebbero scompensi e tensioni: i benefici dell’investimento industriale nella sicurezza sono dilazionati nel tempo, i costi si vedono subito. Quindi sì, ci sarebbero scelte dolorose da fare. Per adesso la maggior parte dei dirigenti politici fanno il gioco delle tre scimmiette: non vedo non sento non parlo.

21 marzo 2024, 15:57 - modifica il 21 marzo 2024 | 15:57

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