Commentary on Political Economy

Tuesday 8 March 2022

 

Fermiamo le importazioni di gas russo

Le sorti della guerra sono a favore di Vladimir Putin, non solo perché è più feroce e implacabile di noi, ma soprattutto perché può contare su introiti pari a 700 milioni di dollari al giorno, che l’Occidente continua a versargli per le nostre importazioni di petrolio, gas e carbone. Robert Habeck, il ministro tedesco dell’economia, ha respinto categoricamente la proposta di un blocco delle importazioni energetiche, poiché tale misura metterebbe a repentaglio la pace sociale nel paese. Queste parole sono venute da un politico che in passato si era dichiarato contrario al Nord Stream 2, molto prima che fosse diventato di moda opporsi al progetto.

Un commento davvero rivelatore: la pace sociale in Germania, qualunque cosa significhi, vale di più della pace in Europa. Non posso affermare con certezza se si sia espresso a titolo personale oppure a nome del governo. Difatti, è una presa di posizione che non gli riconosco, ma che svela come abbiamo toccato, all’ora attuale, il limite delle sanzioni possibili. Nelle scorse settimane la Germania ha fermato unilateralmente il gasdotto Nord Stream 2 e ha aumentato al 2 percento del PIL gli stanziamenti per la difesa e ulteriori investimenti. Anche stavolta, unilateralmente. Con molta riluttanza, la Germania ha aderito a quello che si è rivelato un pacchetto assai esiguo di sanzioni per l’esclusione della Russia dal sistema internazionale di pagamenti Swift. Questo è tutto, per il momento.

Per poter invadere un paese delle dimensioni dell’Ucraina, Putin ha bisogno di valuta occidentale. Non si aspettava certo che l’Occidente gli avrebbe congelato la metà delle sue riserve in moneta estera, che ammontano a circa 600 miliardi di dollari, ma è un intoppo che non gli impedirà di proseguire la sua marcia bellica, in quanto può contare, ogni anno, su entrate di circa 250 miliardi di dollari dalle sue forniture energetiche. E più schizzano verso l’alto i prezzi di gas e petrolio, più si rimpinguano i suoi forzieri.

Se lo blocchiamo adesso, non fermeremo la guerra, è vero, ma potremmo ottenere due risultati: innanzitutto, impedirgli che scateni un’altra guerra in Europa; e secondo, che paghi un prezzo esorbitante per l’occupazione dell’Ucraina.

Anziché congratularci per le misure già adottate, tuttavia, occorre riflettere anche sul nostro ruolo in questa guerra. Dopo l’annessione forzosa della Crimea, l’Europa ha addirittura incrementato la sua dipendenza dalle fonti energetiche russe. Non abbiamo mai pensato di trovare una soluzione al problema che pone questa dipendenza. Dare la caccia agli yachts privati di qualche oligarca è la via migliore per non uscire da questa impasse. Idem, invitare il presidente Volodymyr Zelensky a partecipare alla sessione plenaria del Parlamento europeo: non si è fatto nessun passo avanti concreto per accogliere l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea.

È il flusso continuo di denaro dai nostri paesi verso la Russia a spianare la strada alle ambizioni belliche di Putin. La sua strategia militare rispecchia quanto messo in atto in Cecenia e in Siria: accerchiare e radere al suolo. A Kyiv, farà quello che ha già fatto ad Aleppo, a Grozny, e ultimamente a Kharkov. Come stratega militare, Putin è assai prevedibile.

François Hollande, l’ex presidente francese, ha dichiarato ieri che l’Unione europea dovrebbe prendere in considerazione un divieto d’importazione dei prodotti energetici russi, e che la Germania dovrebbe accettare di accollarsi questo onere. Sono pienamente d’accordo.

Ma resta improbabile un divieto totale di importazione, proprio come non è mai stato introdotto un blocco totale del sistema Swift, benchè sbandierato con squilli di trombe da Ursula von der Leyen e riportato da tutte le testate d’informazione. Quando è emerso che il blocco avrebbe riguardato solo sette banche russe, l’attenzione pubblica era già rivolta altrove e non ci ha fatto più caso. Se si deciderà di vietare i rifornimenti russi, di sicuro l’Unione europea seguirà il medesimo copione.

Se invece imporremo sanzioni che restino appena al di sotto della soglia del disagio, due sono le potenziali conseguenze. Uno, Putin non potrà opporsi, ma continuerà ugualmente a rastrellare i soldi necessari a combattere le sue guerre. Oppure potrebbe essere lui a chiudere definitivamente i rubinetti dei gasdotti, e vedere che cosa succede alla pace sociale in Germania. In realtà, non si tratta solo della pace sociale. Un divieto di importazione del gas russo produrrebbe ripercussioni devastanti sull’intero modello economico tedesco. Il fabbisogno energetico della Germania e la struttura della sua industria delle esportazioni sono profondamente interconnessi. Eccoci quindi di fronte a un vero dilemma, conseguenza diretta delle nostre azioni: un divieto totale di importazione di gas rischia di mettere in ginocchio sia il nostro modello economico che il nostro sistema politico.

Il ministero tedesco per gli affari economici ha cominciato a sommare i costi delle sanzioni già approvate. L’effetto boomerang economico non si misura semplicemente in flussi netti di forniture energetiche russe. Non dimentichiamo che la Russia fa parte della nostra catena logistica. Per esempio, le aziende tedesche hanno in parte aggirato la penuria di navi container ricorrendo al trasporto ferroviario e su gomma dalla Cina attraverso la Russia. Quel percorso è stato chiuso.

L’imposizione di un divieto totale di importazione appartiene alla categoria di misure che sono al contempo necessarie e impossibili. In passato, l’Unione europea ha tentato di risolvere tali conflitti creando un universo parallelo di incoraggiamento ed esultanza: siamo pronti ad applaudire le vittorie ucraine in battaglia e già ci illudiamo che l’Ucraina possa vincere la guerra. Abbiamo accolto con ammirazione i cambiamenti nella linea politica tedesca. Ma fintanto che la Germania continuerà a importare gas, petrolio e carbone dalla Russia, il mondo dovrà prendere atto che l’alleanza più strategica sul continente eurasiatico resta quella tra Germania e Russia. Pertanto non mi sorprenderebbe l’introduzione di una versione assai fumosa di questa proposta, proprio com’è accaduto con il sistema Swift, lasciando a Putin ampio spazio di manovra per la prossima mossa sullo scacchiere.

Come un giocatore distratto, peraltro, Putin ha sbagliato i suoi calcoli. Ma ha ancora buone probabilità di riuscire nel suo intento, disponendo di molti pezzi sullo scacchiere. Gary Kasparov, che ne sa qualcosa sia di scacchi che di strategia, scrive che Putin vince perché i suoi avversari non capiscono il suo gioco. Su un punto in particolare siamo d’accordo con lui: occorre specificare in anticipo che cosa gli accadrà se le truppe russe sconfineranno in territorio Nato.

Kasparov vede nella nostra riluttanza, ispirata ai principi occidentali, a scendere in guerra con la Russia un segnale che va a rafforzare la baldanza di Putin. Se gli riesce l’occupazione dell’Ucraina, poi toccherà alle Repubbliche baltiche. Lo ha già detto Zelensky. E lo penso anch’io. Putin potrebbe giustificare l’ennesima invasione con l’esigenza di ricongiungersi all’exclave russa di Kaliningrad, situata tra Polonia e Lituania. E di nuovo potrebbe affermare che anche il Baltico orientale una volta faceva parte dell’impero sovietico. E l’Occidente reagirà con le sue accorate, quanto prevedibili, manifestazioni di sdegno.

Unione europea e Stati Uniti sono chiamati a varare immediatamente il divieto totale di importazione ed esportazione, e a dichiarare che alla minima infrazione contro un paese Nato seguirà la totale distruzione delle capacità militari della Russia.

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