Commentary on Political Economy

Thursday 6 January 2022

 Dov’è finito il modello Italia?

di Aldo Cazzullo

06 gennaio 2022

Il sistema politico si è forse concentrato fin troppo sulle schermaglie per il Quirinale, e non abbastanza sulla lotta alla pandemia. I partiti non sono mai stati così divisi al loro interno. Non si salva nessuno


Sembra ieri che i tedeschi parlavano di «modello Italia»; e in effetti era appena un mese fa. Nel frattempo siamo riusciti a dilapidare il vantaggio che avevamo accumulato nel contenimento del Covid e nel rilancio dell’economia; che sarebbero poi i motivi per cui tutti i partiti tranne uno si sono messi insieme al governo, salvo poi ricominciare, soprattutto nelle ultime settimane, a litigare.


Eravamo stati messi sull’avviso dall’escalation del Regno Unito, che da tempo conta i casi a decine e poi centinaia di migliaia al giorno: Omicron stava arrivando, e andava contenuta con provvedimenti tempestivi. Purtroppo il governo non li ha presi. Tra Natale e Capodanno il consiglio dei ministri ha esaminato una misura necessaria, sia pure insufficiente: l’obbligo vaccinale per i lavoratori dei trasporti e della ristorazione. In piena pandemia, in effetti, non ci si può permettere il lusso di ferrovieri, tranvieri, tassisti, cuochi, camerieri No Vax. Eppure la misura è stata rinviata. Ora la forza dei numeri ha reso necessario un provvedimento drastico: l’obbligo vaccinale per gli over 50. Ma più è drastico un provvedimento, più andrebbe presentato e spiegato all’opinione pubblica. È sorprendente che Draghi non l’abbia fatto, e non abbia neppure affidato il compito a Speranza. Anche questo è un segno della difficoltà del governo.


Quando un esecutivo si muove in ritardo, la prima responsabilità è inevitabilmente di chi lo guida. Ma tutta la maggioranza ha le sue colpe. Il sistema politico si è forse concentrato fin troppo sulle schermaglie per il Quirinale, e non abbastanza sulla lotta alla pandemia. I partiti non sono mai stati così divisi al loro interno. Non si salva nessuno. Ma sul rigore nel contrasto al Covid hanno frenato (è stato così anche nel consiglio dei ministri di mercoledì sera) soprattutto 5 Stelle e Lega; e se dei 5 Stelle non ci si dovrebbe stupire, della Lega un po’ sì. I grillini sono arrivati al potere sulla spinta della protesta, compresa quella No-Vax; poi hanno dovuto confrontarsi con la realtà, però la cultura da cui vengono è quella, e infatti partorirà presto la scissione dei duri e puri. La Lega invece amministra da decenni Regioni e città del Nord, dalle quali non a caso viene una spinta a vaccinare tutti e in fretta. Le esitazioni di Salvini — e stavolta pure di Giorgetti — sono incomprensibili per buona parte del suo stesso elettorato. Tra le tante partite che si decidono ora, c’è pure la scelta della Lega tra movimento antisistema alleato di Orbán e Le Pen o forza conservatrice di stampo europeo, come quella che ha governato per sedici anni la Germania e che quest’anno tornerà al governo in Francia, dove i repubblicani se anche dovessero mancare l’Eliseo riconquisteranno l’Assemblea nazionale. E siccome non c’è sondaggio che non assegni alla destra italiana la maggioranza nel prossimo Parlamento, la scelta di campo della Lega non è solo una questione interna a un partito. E non riguarda soltanto gli assetti futuri: è indispensabile capire ora se questa maggioranza può stare insieme, e se questo governo può continuare. Sarebbe ovviamente meglio che fosse così; ma non al prezzo del rinvio, della perdita di tempo, della mediazione continua.


Metà dei ricoverati in ospedale, due terzi dei pazienti in terapia intensiva, il 90 per cento dei morti non erano vaccinati. Basterebbero questi dati per chiudere il dibattito sul decreto legge che impone la vaccinazione a chi ha più di cinquant’anni. Invece restano alcune cose da dire, una in particolare.


Di solito le vaccinazioni obbligatorie sono per i bambini. Stavolta i bambini sono i meno vaccinati: soltanto uno su dieci. Segno che l’iniezione continua a fare paura alle famiglie italiane, e solo una parte della maggioranza che si è vaccinata l’ha fatto con convinzione; senza il Green Pass saremmo qui a contare non duecento morti al giorno, ma molti di più. Questa volta la vaccinazione obbligatoria è per gli italiani di età matura. Del resto, sono soprattutto le persone anziane a morire, e quelle di mezza età a sviluppare la malattia in forma grave.


Ma chi si vaccina non lo fa soltanto per se stesso, per salvare la propria vita. Né lo fa soltanto per proteggere il sistema sanitario, e di conseguenza interrompere il circolo vizioso delle chiusure, dei risarcimenti, del debito, dell’inflazione, insomma della rovina economica e della catastrofe sociale. Lo fa — e ora lo deve fare — perché è parte di una comunità. Perché tanti «io» fanno necessariamente un «noi». E quindi lo fa — e ora lo deve fare — anche per chi verrà dopo di noi: i nostri figli, i nostri nipoti.


È vero, i morti sono quasi tutti anziani. Ma sono soprattutto i giovani le vere vittime di una pandemia giunta al terzo anno; e non solo perché il contagio riguarda anche loro. Giovani che a lungo non hanno potuto andare a scuola e nelle prossime settimane faticheranno a potervi andare. Che hanno dovuto rinunciare a incontri, amicizie, amori, viaggi, opportunità, in una parola: vita. Che faticano a trovare stage (loro direbbero internship), esperienze, occasioni di formazione e di lavoro. Che non possono programmare nulla, tanto meno un’unione, una famiglia, un’idea di maternità e paternità di cui giustamente hanno parlato due ottuagenari come Mattarella e il Papa. È proprio per i bambini, gli adolescenti, i ventenni che noi over 50 siamo chiamati a questo sforzo. Perché alle giovani generazioni non possiamo lasciare solo debiti, telefonini e disuguaglianze quali non si sono mai viste nella storia.


Non nascondiamocelo: ci attendono due mesi durissimi. Continuiamo a ripetere come un mantra tranquillizzante che omicron, variante blanda, rappresenta l’inizio della fine per il virus. Magari il mantra si rivelerà corretto. Ma se anche — come tutto lascia prevedere — una parte infima dei contagiati di questi giorni finirà in ospedale, sarà sufficiente a mandare in tilt il sistema. Tutti, non soltanto medici e infermieri ma lavoratori del commercio, dei trasporti, della logistica, della scuola, della sicurezza e pure dell’informazione, saremo chiamati a fare il nostro dovere in circostanze mai sperimentate prima. Davvero è il momento di superare le discussioni sterili sui vaccini, di lasciare i narcisi del tennis e dell’accademia (o dell’arcadia) al loro destino, e di assumerci ognuno la propria responsabilità, facendo prevalere il «noi» sull’«io», conquistando la consapevolezza che la pandemia finirà per tutti o per nessuno.


Vale anche per la politica, per il presidente del Consiglio, per i leader dei partiti che lo sostengono.

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