Commentary on Political Economy

Saturday 5 February 2022

 Ambizioni (e misteri) di Putin

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di Paolo Valentino

04 febbraio 2022

Il capo del Cremlino ha giocato d’azzardo e ha vinto la prima mano. Ma ora deve trovare la maniera di uscire dalla situazione che ha creato senza fare scoppiare una guerra che non potrebbe affrontare


Dostoevskij divideva i russi tra giocatori di scacchi e giocatori d’azzardo. Vladimir Putin appartiene sicuramente alla seconda schiatta, incarnando tutte le qualità di un pokerista. Il capo del Cremlino è bravo nello sfruttare vulnerabilità o errori dell’avversario. Anche quando ha carte cattive, riesce a trarre il massimo vantaggio tattico. Ma non è uno stratega, per indole e per scelta non valuta le conseguenze e le implicazioni di lungo periodo delle sue mosse, com’è invece tipico degli scacchisti.


È la vera ragione per cui Putin si trova ora in una situazione piuttosto difficile. Acuendo la crisi in Ucraina, il presidente russo ha già ottenuto risultati per lui significativi. Ma ora è costretto a cercare una via d’uscita, che gli consenta di salvare la faccia, presentandola come un successo.


La crisi ucraina inizia e finisce nel mistero di quest’uomo molto situazionista. Nasce dalla missione che si è auto-conferito, quella di restituire alla Russia un’influenza sullo spazio geopolitico ex sovietico. E può chiudersi solo se, accontentandosi di una riconquistata centralità nella diplomazia mondiale e di alcune concessioni in tema di disarmo, rinuncia a nuove mosse destabilizzanti e soprattutto disinnesca il pericolosissimo «war game» che ha messo in campo. Nessuno può predirne le mosse: «Neppure le persone del suo cerchio magico sono in grado di anticipare cosa farà», spiega Andreij Kortunov, direttore del Russian Council on Foreign Affairs.


Putin non ha mai pensato di invadere l’Ucraina, scatenando un conflitto che non avrebbe potuto permettersi. Avrebbe infatti reso la Russia paria fra le nazioni, fatto scattare nuove e più dure sanzioni, caricato Mosca di costi insostenibili per chissà quanto tempo. L’Ucraina non è la Crimea, dove anche Tolstoj combatté nell’assedio di Sebastopoli e dove la maggioranza russa nel 2014 aderì convinta all’annessione. E Putin sa che una popolazione ostile e una forte resistenza armata trasformerebbero l’occupazione russa in una trappola letale. «Voleva però mandare un doppio segnale: a Kiev, perché rispetti gli accordi di Minsk, e agli Stati Uniti perché finalmente lo ascoltassero e prendessero sul serio le preoccupazioni di sicurezza della Russia», dice Kortunov.


Alimentando il racconto di una guerra con oltre 100 mila soldati al confine, presentando agli Usa e alla Nato una lista di richieste impossibili e giocando la carta del ricatto energetico contro l’Europa, Putin ha sicuramente «vinto» la mano, imponendosi come interlocutore obbligato per tutti. Ma non aveva messo sul conto la reazione sostanzialmente solidale dell’Occidente. Così, ha prodotto gli effetti non voluti di rigenerare la Nato aumentandone la presenza militare nell’Europa centro-orientale, rifocalizzare sul quadrante europeo un’Amministrazione fin lì neghittosa e distratta dal «grande gioco» con la Cina, non ultimo convincere perfino i più riluttanti fra i Paesi europei, Germania inclusa, che di fronte a un’aggressione militare tutto può essere messo in discussione, perfino il cordone ombelicale del gas naturale russo.


Eppure, negli ultimi giorni qualcosa è cambiato nella postura di Putin, a dispetto di una retorica aggressiva, riproposta nella critica alla decisione americana di schierare 2.700 nuovi soldati in Europa orientale. Parlando dopo la visita di Viktor Orbán, il presidente russo per la prima volta non ha più minacciato le cosiddette «misure tecnico-militari» nel caso gli alleati occidentali non soddisfino per intero le domande russe, compreso il ritiro delle forze Nato e delle armi nucleari Usa dagli ex Paesi del blocco sovietico. Di più, giusta la rivelazione diEl Pais, la risposta americana alle richieste di Putin include anche un’apertura a discutere, sia pure da interpretazioni diverse, il tema della «sicurezza indivisibile» contenuto nella carta dell’Osce, secondo cui un Paese non può rendersi più sicuro a spese di un altro. Con il corredo della disponibilità a negoziare una moratoria sui missili atomici intermedi, un nuovo trattato su quelli strategici, la creazione di una zona smilitarizzata e un regime di ispezioni, potrebbe essere questa la via d’uscita di cui ha bisogno Putin.


Il tempo però è merce scarsa. Putin non farà nulla durante le Olimpiadi invernali per non rovinare la festa al suo amico e protettore Xi Jinping, insieme al quale ieri ha ribadito l’opposizione di Cina e Russia all’ampliamento della Nato. Ma «può ancora tenere le truppe mobilitate al confine con l’Ucraina al massimo per un mese, poi o le usa o deve riportarle a casa», spiega Kortunov. Non è per nulla facile, anche perché finora si è parlato poco dell’altro nodo della partita in corso: la riluttanza del presidente ucraino Zelenski a far concessioni sugli accordi di Minsk, che per Putin sono fondamentali. «Anche Zelenski è in una posizione complicata, perché ogni suo cedimento in termini di autonomia al Donbass o ritiro delle truppe dalle regioni secessioniste sarebbe percepito all’interno come una capitolazione», spiega il politologo Valerij Solovej. Avendo già giocato le sue carte migliori, riuscirà Vladimir Putin a spegnere il «war game» senza perdere la faccia?


4 febbraio 2022, 21:56 - modifica il 4 febbraio 2022 | 21:56

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