Commentary on Political Economy

Wednesday 6 September 2023

THE POPE'S SYMPATHY FOR THE DEVIL

 

Le tensioni tra gli Stati Uniti e il Papa, su Russia e Mongolia

Dagli Stati Uniti tornano a emergere obiezioni sulla diplomazia di papa Francesco, con la quale non sono mancate le divergenze dall’inizio della guerra in Ucraina.

Dopo l’elogio dell’antica Russia imperiale è il turno dell’ammirazione espressa dal pontefice per la Pax Mongolica in occasione della sua visita a Ulaan Bator. Il quotidiano della capitale, The Washington Post, dedica un’analisi critica alla dottrina storica della Santa Sede.

I rilievi sull’omaggio reso dal pontefice alla Pax Mongolica come esempio di tolleranza verso tutte le fedi religiose, sono l’occasione per tornare sull’episodio precedente, cioè l’elogio di papa Francesco alla Russia imperiale.


Estraggo qui un passaggio dall’analisi che gli dedica il Washington Post. Il quotidiano americano parte dalla citazione di questo passaggio nel discorso del pontefice: «Voi siete gli eredi della Grande Russia, la Grande Russia dei santi, dei re, la Grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina II, quel vasto e colto impero russo, con tanta cultura e tanta umanità… Voi siete gli eredi della grande Madre Russia. Andate avanti. … Grazie per essere russi».

Su questo il Washington Post osserva: «Dei dirigenti ucraini allibiti hanno osservato che la nostalgia per il passato imperiale della Russia è il cuore dell’invasione decisa dal Cremlino. Un portavoce del Vaticano è stato costretto a precisare che papa Francesco intendeva incoraggiare i giovani a conservare e promuovere ciò che vi è di positivo nella grande spiritualità russa, non voleva certo esaltare la logica imperialistica o qualche personalità di governo».

Il rilievo del governo ucraino e poi la precisazione del Vaticano indicano che il tema è controverso. Un conto è incoraggiare i giovani russi a preservare la memoria di Tolstoij e Dostoevskij, di Gogol e Cechov, di Rachmaninov e Shostakovich; per questo non implica il rievocare con ammirazione gli Zar Pietro e Caterina che figurano tra gli edificatori dell’impero coloniale più ampio del pianeta.

Una Pax Russa, a differenza di quella mongolica, non è mai esistita visto che questo paese ha costantemente combattuto con i suoi vicini, per allargare i propri confini in nome della «sicurezza».

Di sicuro non visse sotto una Pax Russa un predecessore di Bergoglio, papa Wojtyla, la cui Polonia subì prima il tradimento di Mosca col patto Molotov-Ribbentrop (cioè Stalin-Hitler), poi nel dopoguerra subì quasi mezzo secolo di oppressione sovietica.

Tutti interpretano la storia in funzione dei propri valori, da sempre il revisionismo applicato al passato è uno degli strumenti con cui si giustificano le ideologie e si gestisce il consenso popolare verso una classe dirigente. Ma in questo periodo si assiste a una singolare divaricazione.

A Mosca e a Pechino, Vladimir Putin e Xi Jinping riscrivono i manuali scolastici per iniettarvi un sovrappiù di nazionalismo, e dipingere a tinte fosche la storia dell’Occidente. Viceversa qui in Occidente è in atto un processo alla nostra storia, all’insegna dell’auto-colpevolizzazione: basta frequentare una università americana per constatare quanto il passato degli Stati Uniti sia oggetto di una demolizione sistematica.

Della Pax Mongolica il santo padre ha ricordato un aspetto reale, che non tutti associano automaticamente alla figura di Gengis Khan, Tamerlano e altri conquistatori mongoli: la tolleranza religiosa. È vero che in molte delle nazioni e civiltà sottomesse, i conquistatori mongoli rispettarono le fedi locali. A tal punto che in certi casi furono loro a convertirsi: varie diramazioni e discendenze delle dinastie mongole divennero o buddiste-confuciane oppure musulmane. Con le loro conversioni l’Islam mise radici profonde dal territorio russo fino all’India. Descriverli come un modello di tolleranza però coglie un aspetto solo. Fra quei discendenti dei mongoli che erano i Moghul dell’India, per esempio, ci furono sovrani illuminati e perfino ecumenici (Akbar), insieme con altri ferocemente intolleranti (Aurangzeb). Ma soprattutto, in cima all’albero genealogico dei mongoli c’era stato quel Gengis Khan che conquistò vaste porzioni dell’Eurasia con la violenza, a capo di armate di guerrieri a cavallo che per secoli sono state studiate per la loro spietata efficienza bellica.

Quando i mongoli ebbero massacrato le armate nemiche, conquistato e dominato i popoli stranieri, si permisero il lusso di selezionare usi e costumi locali che gli piacevano. Tolleranti ed eclettici sì, ma dopo ripetuti bagni di sangue.

L’elogio della Pax Mongolica andrebbe esteso alla Pax Romana e alla Pax Britannica: due imperi che praticarono forme di tolleranza religiosa verso i popoli colonizzati, certo non meno dei mongoli. Dei romani sappiamo quanto lasciassero praticare religioni autoctone, mescolate con la loro. Gli inglesi hanno amministrato un territorio vasto come l’India lasciandovi intatte le religioni pre-esistenti cioè induismo, islam, buddismo, zoroastrismo. Non mancarono i missionari che al seguito dell’imperialismo bianco fecero proseliti per il cristianesimo, però la dottrina ufficiale dell’impero britannico non era quella delle conversioni forzate alla religione del conquistatore. Anche nei loro possedimenti coloniali in Africa gli inglesi evitarono persecuzioni religiose contro i seguaci dell’islam o dell’animismo e sciamanesimo.

Nella diplomazia contemporanea questa diatriba storico-culturale conferma la tensione fra la Santa Sede e Washington.

Papa Bergoglio viene percepito come un pontefice poco simpatizzante verso gli Stati Uniti, sull’Ucraina e non solo; benché alla Casa Bianca oggi vi sia un presidente cattolico e progressista nella persona di Joe Biden (solo il secondo cattolico dopo John Kennedy). Oltre alla sua formazione argentina, in un’America latina segnata dall’animosità anti-yankee, gioca il fatto che la gerarchia cattolica americana è più conservatrice di Bergoglio sui temi valoriali e si situa all’opposizione di questo papato. Ancora di recente il papa ha lanciato delle critiche ai cardinali statunitensi.

Ma non è solo una diatriba interna al mondo cattolico. Sulla stampa progressista degli Stati Uniti diversi osservatori, pur simpatizzanti con l’ideologia di papa Francesco, hanno osservato che questo papa progressista non riesce a frenare l’emorragia di fedeli, neppure nei paesi emergenti: in Africa e in America latina, il cristianesimo che avanza non è la versione cattolica romana, bensì quella evangelica e pentecostale.

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