Commentary on Political Economy

Saturday 30 December 2023

 

C’è bisogno d’Europa

30 dicembre 2023
Ascolta l'articolo
6 min
i

La frontiera dell’immigrazione: la Ue dovrebbe assumersi il compito di governare il fenomeno, dall’inserimento dei regolari al contrasto dei traffici

Ma davvero l’Europa, in questa fase storica, non è in grado di fare nulla di più e di meglio del patto di Stabilità? È questo l’unica atto solenne a cui affidiamo la guida dell’Europa negli anni a venire? Proviamo a considerare in primo luogo che cosa sia l’Unione europea. È tante cose naturalmente: il mercato unico, la moneta comune, una complessa architettura istituzionale, una gran mole di norme. Oltre a ciò, è un club di Stati tenuti insieme dai vantaggi che ricavano dall’appartenenza al club e dalla comune consapevolezza di quanto sarebbe costoso (Brexit insegna) andarsene. Nel club ogni governo contratta cercando di ottenere per sé i maggiori benefici possibili. I vantaggi, però, si distribuiscono in modo asimmetrico, dipendono dalla posizione che si occupa nella gerarchia del club.

Le cose sono più complesse di così ma, per semplificare, possiamo immaginare l’esistenza di due cerchi concentrici. Il cerchio più interno è il «salotto buono», l’élite (qui dimorano gli Stati più forti nonché quelli piccoli ma con i conti in ordine). Nel cerchio più esterno stanno i Paesi più deboli che hanno bassa influenza sul processo decisionale. Nello stesso cerchio esterno ci sono anche quelli che qui da noi vengono chiamati (ma il termine è fuorviante) «sovranisti».

L’Ungheria di Orbán è un perfetto esempio: si tuona contro la «dittatura di Bruxelles» dalla quale dittatura, però, si pretendono soldi. Il tutto accompagnato da una ferma opposizione a qualunque ipotesi di maggiore integrazione. Si ispirano al principio «prendi i soldi e scappa»(le regole europee lo consentono). Si noti che l’esistenza del gruppo «prendi i soldi e scappa» è un alibi per coloro che stanno nel salotto buono. Anche lì si annidano le resistenze a una maggiore integrazione. Come mostra il divario fra le proposte (che vanno nel senso di più Europa) della Commissione europea e ciò che è disposto ad accettare il governo dello Stato più forte e influente, la Germania. Nonché la «sovranista» Francia.

E l’Italia? Tradizionalmente, è sempre stata a cavallo fra i due cerchi, con un piede, al caldo, nel salotto buono e un piede, al freddo, nel cerchio esterno. Per i conti in disordine, la tradizionale debolezza delle sue leadership di governo, l’instabilità endemica. Troppo importante dal punto di vista economico per essere buttata fuori dal salotto buono. Troppo debole per poterne fare parte a pieno titolo. E oggi? Dal suo insediamento fino alla attuale battuta d’arresto ( l’affondamento parlamentare del Mes), il governo Meloni si era mosso con pragmatismo. Se Mario Draghi aveva fatto dell’Italia un membro, senza le solite riserve, del salotto buono, non supinamente a rimorchio di Germania e Francia, Giorgia Meloni, sulla sua scia, stava difendendo bene la posizione acquisita. L’inatteso ritorno dell’ideologia nella vicenda Mes sembra avere riportato l’Italia nella scomoda posizione di chi sta a cavallo fra i due cerchi. Vedremo quali saranno le prossime mosse.

Se questi fossero tempi poco turbolenti si potrebbe concludere che per qualunque membro dell’Unione la massima aspirazione dovrebbe essere quella di stare dentro il salotto buono. Ma in tempi turbolenti, con guerre davanti all’uscio di casa,in una fase di accelerata ridistribuzione del potere internazionale, non è più così. C’è una tempesta in atto e alla nave servirebbe avere qualcuno nella cabina di comando che stabilisca la rotta. Il contrario di ciò che sta accadendo. Il patto di Stabilità può rassicurare temporaneamente i mercati ma, a dispetto del nome, non può dare stabilità all’Unione se non accompagnato da altre, ben più incisive, decisioni (come ha rilevato Goffredo Buccini, Corriere del 28 dicembre). In questa fase, di fronte a umori anti-europei così diffusi e forti in Europa, servirebbe cercare le strade per correre ai ripari.

Che succederebbe all’Unione se, complice una gauche che si ispira al principio del «tanto peggio tanto meglio», le prossime elezioni presidenziali francesi le vincesse Marine Le Pen? Che le succederebbe se Alternative für Deutschland, l’estrema destra tedesca, ottenesse il successo elettorale che i sondaggi preannunciano? O se le componenti più pragmatiche della politica italiana (di governo e di opposizione) perdessero posizioni a favore di Salvini e Conte (che siano loro il vero «campo largo»?).Poi servirebbe capire che fare per proteggersi se cambiano gli equilibri internazionali. Che ne sarebbe della sicurezza europea se Trump vincesse le imminenti presidenziali americane? Come la metteremmo con Putin? In tempi tranquilli la politica può essere solo mediazione, negoziazioni e compromessi fra diversi interessi. Tempi felici. Ma ci sono altre fasi nelle quali diventa vitale stabilire la rotta, motivare opinioni pubbliche disorientate, indicare una plausibile direzione di marcia.

In tempi turbolenti alle autorità si chiede protezione. Se l’Europa non mi protegge non mi serve. È questa diffusa idea che gonfia elettoralmente l’antieuropeismo. Gli antieuropeisti offrono, a modo loro, protezione: dai migranti, con la promessa di chiusura delle frontiere nazionali, dalle minacce esterne, con la proposta di appeasement, di rappacificazione, con i violenti. O l’establishment europeo troverà rapidamente un modo diverso di rispondere alla domanda di protezione oppure il destino dell’Unione sarà presto segnato. Si pensi a come potrebbe essere riassorbita la protesta anti-europea se le venisse tolta la sua principale fonte di alimentazione: la paura e i disagi generati dall’immigrazione. Se fossero le istituzioni europee ad assumersi il compito di governare il fenomeno (in tutti i suoi aspetti: inserimento degli immigrati regolari, contrasto all’immigrazione clandestina,eccetera), disponendo dei mezzi per farlo e mostrando la capacità di farlo in modo realistico e efficace, i contraccolpi positivi, plausibilmente, non mancherebbero. Molti europei ricomincerebbero a pensare che abbia ancora senso scommettere sull’Europa. Lo stesso dicasi se maturasse la scelta di investire in sicurezza spiegando bene agli europei quale sia il vero significato di appeasement: finire dritti in bocca al leone.

Prevedibile obiezione: la politica è solo l’arte del possibile. Formula ineccepibile. Ma a condizione di non ricavarne l’idea che alla politica bastino i Neville Chamberlain (il premier britannico dei tempi di Monaco), i mediatori. Di null’altro capaci che di sfornare patti di stabilità.

No comments:

Post a Comment