Commentary on Political Economy

Saturday 16 December 2023

 

L’intellettuale che sostenne la necessità della violenza politica

Morto Toni Negri, «cattivo maestro»

Morto Toni Negri, «cattivo maestro»
Antonio Negri, detto Toni (1933-2023)
di ANTONIO CARIOTI
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Si è spento l’intellettuale che aveva sostenuto la necessità della violenza politica. Già alla guida di Potere operaio e Autonomia operaia, eletto alla Camera nel Partito radicale, era stato accusato per insurrezione armata ed era sfuggito all’arresto riparando in Francia. Tra i suoi libri «Impero» uscito nel 2002

Godeva all’estero di notevole prestigio, ma in Italia era considerato soprattutto un «cattivo maestro». D’altronde è innegabile che dopo il Sessantotto il professor Toni Negri, scomparso all’età di 90 anni (a darne notizia la compagna e filosofa Judit Revel), avesse predicato la violenza politica e guidato gruppi di estrema sinistra che la praticavano (detti nel loro complesso Autonomia operaia organizzata), tanto da essere condannato a 12 anni di carcere con sentenza definitiva. Altrettanto innegabile era peraltro la sua levatura intellettuale, che ne faceva uno degli studiosi più autorevoli del filosofo Baruch Spinoza e molti anni dopo gli aveva permesso di affermarsi come figura di primo piano del pensiero antagonista internazionale con il bestseller Impero, firmato insieme al collega americano Michael Hardt (Rizzoli, 2002).

Sin da ragazzo Antonio Negri, detto comunemente Toni, aveva mostrato una spiccata propensione all’attività intellettuale e anche all’impegno politico, inizialmente in ambito cattolico. Nato il 1° agosto 1933, figlio di un antifascista emiliano morto quando lui era molto piccolo, era stato cresciuto dalla madre Aldina, insegnante, che lo aveva allevato nel culto dell’istruzione come via d’accesso alla libertà personale e collettiva. Il fratello Enrico, nato nel 1927, si era arruolato nei bersaglieri della repubblica di Salò ed era morto tragicamente al confine orientale. Un retroterra tragico che senza dubbio aveva pesato nelle scelte del giovane Toni.

Dirigente della Gioventù di Azione cattolica (Giac) negli anni Cinquanta, ma già collocato su posizioni decisamente eterodosse rispetto al conservatorismo della Chiesa preconciliare, Negri ne era stato ben presto radiato ed era transitato per qualche anno nei ranghi del Partito socialista, dove il suo percorso intellettuale si era incrociato con quello di Raniero Panzieri e della sua rivista «Quaderni Rossi», culla dell’operaismo italiano. Si tratta della corrente di pensiero che, dopo la destalinizzazione avviata a Mosca nel 1956, cercava una via d’uscita rivoluzionaria dalla crisi del modello sovietico e riteneva di averla trovata con la ripresa delle lotte sindacali propiziata dal boom economico, nella quale i bisogni immediati e spontanei dei lavoratori in carne ed ossa trovavano un’espressione capace di scavalcare l’atteggiamento cauto e moderato del movimento operaio ufficiale. Ovviamente la contestazione studentesca e ancor più l’autunno caldo del 1969 nelle fabbriche avevano impresso una forte spinta a queste tendenze oltranziste, determinando anche il distacco di Negri da altri esponenti dell’operaismo, quali Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e Massimo Cacciari, che non approvavano la sua scelta di rottura completa con il sindacato e il Partito comunista, da lui considerati organizzazioni riformiste e quindi nei fatti estranee agli interessi reali del proletariato.

Il giovane professore, che intanto si andava affermando come una delle menti più brillanti nella facoltà di Scienze politiche a Padova, era così diventato il leader forse più autorevole del movimento di estrema sinistra Potere operaio: di certo la voce dotata di maggiore ascendente sui giovani militanti per la sua cultura sterminata e il linguaggio suggestivo, oscuro ma galvanizzante. Erano anni tumultuosi e violenti, in cui si faceva strada la velleità di dare alla crisi italiana una sbocco rivoluzionario. Nel giugno 1973 al convegno di Rosolina (in provincia di Rovigo) Potere operaio aveva terminato la sua parabola e al suo posto era sorta l’Autonomia operaia, che aveva in Negri il proprio ideologo principale. Era allora che il filosofo marxista aveva elaborato la teoria dell’«operaio sociale», secondo cui la logica di sfruttamento del capitale si era ormai estesa ben oltre i confini della fabbrica, tanto da generare un nuovo soggetto rivoluzionario, nel quale confluivano non più soltanto i lavoratori industriali, ma anche le varie forme di precariato, i disoccupati, soprattutto gli studenti.

I tempi erano maturi, secondo Negri, per una lotta frontale contro lo Stato e anche contro gli organismi di rappresentanza, quali i partiti e i sindacati, ormai ridotti a semplici articolazioni del dominio capitalistico. Lotta che non poteva certo limitarsi ai metodi pacifici. A parte i suoi più infiammati scritti militanti, anche in un testo di forte impegno teorico come Marx oltre Marx (Feltrinelli, 1979), Negri non esitava ad affermare: «La violenza è un’immediata, aurorale, vigorosa affermazione di necessità del comunismo». Parole che poi venivano tradotte nei fatti dai giovani militanti dell’Autonomia padovana e non solo, protagonisti di intimidazioni, aggressioni, saccheggi («espropri proletari», nel loro gergo), attentati incendiari (le cosiddette «notti dei fuochi»). Il 7 aprile 1979, data rimasta nella memoria storica, era giunta la reazione dello Stato, con l’inchiesta condotta dal magistrato Pietro Calogero che aveva portato all’arresto di Negri e di molti altri dirigenti e militanti dell’Autonomia con l’accusa gravissima d’insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Addirittura il professore padovano venne poi indicato come il cervello delle Brigate rosse, organizzazione distante dalle sue idee pur nella condivisione di una prospettiva insurrezionale, e gli venne attribuito un ruolo di primo piano nel delitto Moro.

Dopo oltre quattro anni di carcerazione preventiva, Negri aveva recuperato la libertà nel 1983 per via dell’elezione alla Camera nelle liste del Partito radicale, poi si era sottratto all’arresto rifugiandosi in Francia, dove aveva trovato appoggi autorevoli nel mondo intellettuale e aveva fruito della tolleranza verso gli italiani accusati di attività eversive praticata dal governo di Parigi sotto la presidenza di François Mitterrand. Anche nel nostro Paese del resto le accuse più gravi erano cadute e dalla pesantissima condanna in primo grado a 30 anni di carcere si era passati a 12 in appello, confermati dalla Cassazione.

Nel 1997 Negri era tornato in Italia e aveva finito di scontare la pena, prima in prigione e poi in semilibertà. Nessuno poteva più considerarlo un pericolo, anzi l’ex presidente Francesco Cossiga lo aveva accolto cordialmente, sostenendo che nei suoi confronti c’era stato un eccessivo accanimento giudiziario. Ma soprattutto Negri era tornato a pieno titolo nel dibattito intellettuale fino ad affermarsi come uno dei pensatori più ascoltati nella galassia dei movimenti no global fiorita dopo le proteste contro il Wto a Seattle nel 1999.

Nel 2000 l’ex ideologo dell’Autonomia aveva firmato con Michael Hardt il saggio Impero, uscito prima in inglese negli Stati Uniti e poi in Italia da Rizzoli, che lo aveva collocato all’avanguardia del pensiero critico sulla globalizzazione. Qui Negri sosteneva che, in un quadro di declino delle istituzioni statali, la sovranità aveva «assunto una forma nuova, composta da una serie di organismi nazionali e internazionali uniti da un’unica logica di potere». E aggiungeva che questo nuovo assetto, da lui denominato appunto Impero, da una parte era indirizzato a «dominare direttamente la natura umana» dall’altra offriva «nuove possibilità alle forze di liberazione». Il successo di Impero aveva riportato Negri sotto i riflettori: la pubblicazione e ripubblicazione dei suoi scritti si era infittita.

Nel successivo saggio Moltitudine (Rizzoli, 2004), anch’esso elaborato in coppia con Hardt, i due autori avevano cercato di definire i lineamenti di una nuova forza costituente progressista, capace di sovvertire l’Impero. Ma il declino del movimento no global aveva progressivamente ridimensionato anche l’attenzione verso le teorie di Negri, nonostante il suo tentativo di collegarsi a gruppi come Occupy Wall Street. Da segnalare infine il monumento a sé stesso elevato da Negri con i tre volumi autobiografici Storia di un comunistaGalera ed esilio e Da Genova a domani, editi da Ponte alle Grazie rispettivamente nel 2015 e nel 2018. La rivendicazione puntigliosa di un itinerario politico e intellettuale dotato di una sua ostinata coerenza, ma per troppi versi indifendibile a confronto con i fatti.

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