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Friday 16 February 2024

 

La storia di Alexei Navalny, attivista russo e oppositore di Putin

La storia di Alexei Navalny, attivista russo e oppositore di Putin
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Avvocato e blogger anticorruzione, nazionalista e populista: come è cambiato in 20 anni il grande nemico del presidente russo?

Il servizio penitenziario russo ha dichiarato cheAlexei Navalny , il più noto oppositore di Vladimir Putin, è morto: a ucciderlo, secondo quanto riferiscono alcuni media russi, sarebbe stato «un coagulo sanguigno». I tentativi di rianimarlo sarebbero stati inutili. Kira Yarmish, la portavoce di Navalny ha dichiarato: «Appena avremo maggiori informazioni sulla sua morte, le divulgheremo». Di seguito, il ritratto di Navalny di Paolo Valentino.

Quando in Russia è tempo di torbidi, torna sempre d’attualità la doppia suggestione dello Zar buono e del Falso Dmitrij. Nella tormentata storia russa, la prima figura rimanda a Boris Godunov, il sovrano illuminato che governò la Russia dopo la morte di Ivan il Terribile, nel 1584, prima nell’ombra di Fjodor I e poi brevemente da Zar. La seconda rimanda invece a tre impostori, che tra il 1600 e il 1613 si accreditarono uno dopo l’altro come figli di Ivan, sfidando Boris e autoproclamandosi sovrani, prima di finire assassinati dopo regni brevi e scellerati.

Quale delle due figure si rivelerà Aleksej (Alexei) Navalny ce lo diranno i prossimi mesi e anni. Nella narrazione del Cremlino di Putin, il dissidente più famoso del mondo è un nuovo Falso Dmitrij, venuto a ingannare il popolo russo e deciso a usurpare il trono dello Zar. Ma con la sua tenacia e il suo coraggio, egli non fa mistero di voler indossare i panni di Boris Godunov, beniamino degli ultimi e profeta di una nuova era.

Ma chi è veramente Aleksej Navalny, questo avvocato ultraquarantenne nei cui occhi azzurri brilla quello che Enzo Bettiza definiva «il lampo di follia proprio di tutti i russi bianchi»? Quale ruolo si prepara per lui, ora che una condanna senza veri motivi a 2 anni e 8 mesi di carcere mostra il nervo scoperto di Vladimir Putin, deciso a pagare qualsiasi prezzo politico pur di emarginarlo?

Figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa, cresciuto nelle città militari chiuse agli stranieri intorno a Mosca, laureato alla prestigiosa Rudn, l’ateneo moscovita una volta intitolato a Patrice Lumumba e poi ribattezzato Università dell’Amicizia fra i Popoli, Navalny attraversa i tumultuosi anni Novanta mostrando subito una passione per la politica. Nel 1999 aderisce a Yabloko, il piccolo partito liberale di Grigory Yavlinski, dal quale però verrà espulso nel 2007. Ragione principale della sua uscita: la progressiva deriva del giovane attivista, sempre più attratto dal nazionalismo grande russo, che culmina nella sua decisione di partecipare nel 2006 alla Russkij Marsh, la marcia russa, tradizionale parata dell’estrema destra xenofoba, dove abbondano anche i saluti nazisti. Ci tornerà regolarmente negli anni seguenti. Pochi mesi dopo la cacciata da Yabloko, Navalny fonda il movimento patriottico Narod, che subito si allea con due altre formazioni dell’estremismo nazionalista, il Movimento contro l’emigrazione illegale e Grande Russia.

Il nazionalismo di Navalny va naturalmente contestualizzato. Siamo all’inizio dell’era Putin, il nuovo presidente è impegnato a restituire orgoglio e status internazionale alla Russia dopo il Far West seguito al crollo dell’Urss e le umiliazioni subite negli anni Novanta. Uvazheniye, rispetto, è quello che Putin pretende dalla comunità internazionale. Ma Vladimir Vladimirovich, che considera la fine dell’Unione Sovietica «la più grande catastrofe geopolitica del Novecento», vuole recuperarne l’eredità complessiva, compresi il carattere multietnico e l’ambizione imperiale.

I nazionalisti invece, da Eduard Limonov in giù, chiedono la restaurazione della supremazia russa. Navalny è fra questi. Appoggia l’intervento militare del 2008 in Georgia. Pubblica video nei quali paragona i musulmani del Caucaso a scarafaggi da eliminare. Teorizza l’espulsione di tutti i georgiani da Mosca e dalla Federazione russa. Aderisce alla campagna «Stop Feeding the Caucasus», basta nutrire il Caucaso. Oggi Navalny concede che non userebbe più quei termini ed espressioni. Ma nessuno gli ha mai sentito prendere le distanze dal suo nazionalismo.

Eppure, all’inizio degli anni Dieci del nuovo Millennio, succede qualcosa. Il populismo carismatico di Navalny imbocca la strada della lotta alla corruzione, di nuovo dilagante dopo le iniziali mosse dimostrative di Putin contro gli oligarchi. In realtà, al posto di quelli vecchi come BerezovskyKhodorkovsky e Gusinsky, lo Zar ha solo creato i nuovi predatori, come Abramovich, Usmanov, Rotenberg. Mostrando di capire la grande potenzialità della rete, Navalny indossa i panni del blogger, denunciando (con nomi, cognomi e prove) tangenti, bustarelle e ruberie di denaro pubblico. Il suo Live Journal diventa popolarissimo.

Nel 2010 apre RosPil, il sito che lo consacra nel suo ruolo di fustigatore del sistema, dove ancora oggi un gruppo di giovani giuristi passa al setaccio montagne di documenti di contratti pubblici, smascherandone irregolarità, violazioni dolose e trucchi illegali. Nel 2013 è tra i leader della protesta di strada che per la prima volta fa vacillare Putin. Comincia la lunga ordalia degli arresti, entra ed esce da Matrosskaya Tishina, il carcere di Mosca. Il regime identifica in lui uno degli obiettivi prioritari contro i quali agire.

I margini di ambiguità però rimangono. In Crimea, nel 2014, Putin gioca la carta patriottica della Reconquista. La penisola a maggioranza etnica russa, regalata da Krusciov all’Ucraina, viene riannessa alla Federazione. I suoi indici di popolarità schizzano in alto. I nazionalisti, Limonov e il politologo Alexandr Dugin in testa, si schierano con lo Zar. È l’ora dei Nashi, i nostri, l’organizzazione (governativa) di giovani a sostegno del nuovo corso presidenziale, che nel vocabolario di Putin si riassume nella parola Novorossya. Il riflesso nazionalista sembra di nuovo toccare anche Navalny, che pure non dà tregua al regime sul fronte della lotta alla corruzione. E quando Alexeij Venediktov, direttore di Radio Echo di Mosca, gli chiede se lui restituirebbe la Crimea all’Ucraina, Navalny dagli arresti domiciliari risponde. «La Crimea non è un sandwich al prosciutto, che prima si prende e poi si restituisce così».

Sorride e scambia battute con il giudice: il video di Navalny dal carcere, un giorno prima della morte

Video:Sorride e scambia battute con il giudice: il video di Navalny dal carcere, un giorno prima della morte

Eppure, a sbagliare è ancora Putin, che usa le procure per impedire a Navalny di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018. Vince facile lo Zar, con oltre il 76% dei voti. Ma corre di fatto da solo. E da quel momento il blogger può a pieno titolo entrare nel ruolo del primo oppositore. Lo aiuta la fine del miracolo economico putiniano, non più sostenuto dai corsi del petrolio e del gas: la classe media nata nel primo decennio del nuovo secolo si ritrova impoverita, le condizioni di vita peggiorano per tutti, il malcontento cresce alimentato anche dalla rabbia per i facili arricchimenti. Il canale YouTube lanciato da Navalny non dà tregua al sistema, denunciando sempre nuovi scandali e puntando sempre più in alto, come le rivelazioni sugli affari e le proprietà dell’allora premier Dmitrij Medvedev. Nel 2019, grazie a un sistema di «smart voting», Navalny riesce a far eleggere alla Duma di Mosca candidati alternativi a quelli di Russia Unita, il partito del presidente.

Quello che succede dall’estate scorsa a oggi è storia notaL’avvelenamento di Navalny in Siberia, l’atterraggio di emergenza a Omsk che gli salva la vita, il ricovero in Germania, le rivelazioni sul ruolo dei servizi russinel tentativo di eliminarlo con il Novichok, il ritorno in Russia, l’arresto e lo scoop del video sul lussuosopalazzo con vista sul Mar Nero, chsecondo lui apparterrebbe a Putin, visto da 100 milioni di persone. Infine, la condanna.

Putin ha deciso di bruciare i ponti. Il leader del Cremlino, alle prese con la propria successione, è convinto che l’emarginazione a lungo termine di Navalny valga qualsiasi prezzo politico, in termini di nuove sanzioni occidentali e isolamento internazionale. Lo dimostra la crisi aperta in modo quasi sprezzante con l’Unione europea venerdì, quando il Cremlino ha espulso tre diplomatici di Germania, Polonia e Svezia proprio durante la visita dell’Alto rappresentante Joseph Borrell, venuto a chiedere la liberazione del dissidente.

Forse è un calcolo giusto. Forse alcuni anni in galera basteranno a farlo dimenticare. Forse. Ma così facendo, lo Zar ha dato a Navalny la dignità di capo di un’opposizione, che sicuramente non ha ancora massa critica, ma per la prima volta è diffusa sull’intero territorio degli undici fusi orari. Soprattutto, è giovane. E con i Rolling Stones può dire: il tempo è dalla mia parte. La partita rimane aperta: Putin vuole trasformare Navalny in un Falso Dmitrij, ma i suoi adepti vogliono in lui il nuovo Boris Gudonov. Saranno i russi, ancora in maggioranza affezionati allo Zar, a decidere chi vedere in Aleksej Navalny.

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16 febbraio 2024, 12:57 - Aggiornata il 16 febbraio 2024, 21:55

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