Commentary on Political Economy

Monday 19 February 2024

 

L’ombra di un azzardo di Putin, la mobilitazione, i ritardi: la minaccia russa e i venti di guerra in Europa

La minaccia russa e i venti di guerra in Europa: l'ombra di un azzardo di Putin
Un momento della battaglia su uno dei fronti dell’Ucraina (Kilic/Afp)
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La mobilitazione, i ritardi: il Vecchio Continente sembra a corto di risorse belliche. L’ex ministro tedesco Fischer: «La sicurezza comune è la prima priorità: prepariamoci al peggio»

Il ministro della Difesa danese, Troels Lund Poulsen, ha detto che la Russia potrebbe attaccare un Paese della Nato entro tre o cinque anni. Ma non è il solo. Già in dicembre, il suo collega tedesco, Boris Pistorius, aveva esortato gli europei a potenziare le loro capacità militari, poiché Vladimir Putin, sempre più in modalità guerresca, potrebbe scatenare un conflitto contro l’Alleanza atlantica in meno di un decennio. Anche il capo dei servizi estoni ha suonato un allarme simile, attirando l’attenzione sul fatto che l’industria militare della Russia gira a pieno regime e mette il Cremlino in condizione non solo di proseguire a oltranza la guerra in Ucraina, ma anche di immaginare l’apertura di un altro fronte. In Francia, il governo ha lanciato una campagna di reclutamento nell’aviazione, pubblicizzata come una normale professione per il futuro.

E il mese scorso il generale Patrick Sanders, capo delle forze armate britanniche, ha sollecitato il governo di Sua Maestà a «mobilitare la nazione» per prepararla a una guerra con la Russia. Quanto ai leader politici e militari della Svezia, che dopo l’attacco russo contro Kiev ha messo in soffitta due secoli di neutralità e sta per entrare nella Nato seguendo l’esempio della Finlandia, hanno invitato i loro cittadini a «prepararsi mentalmente alla guerra».

La guerra è tornata fra noi. Dopo che Putin l’ha scatenata invadendo un Paese sovrano, non è più un’ipotesi soltanto teorica. E lo scenario di un capo del Cremlino che dopo l’Ucraina punti le sue mire espansionistiche contro un’altra nazione europea è sempre più nelle riflessioni dei politici e nelle conversazioni di diplomatici ed esperti. Le dichiarazioni dell’ex e forse futuro presidente americano Donald Trump, il quale in caso di attacco russo minaccia di non intervenire in aiuto dell’Europa, se questa non salda i suoi presunti debiti, insinuano un dubbio drammatico ed esistenziale, che secondo il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg «mina la sicurezza di tutti». E l’incertezza sull’esito delle elezioni in America precipita un dibattito, che in realtà non è più evitabile chiunque siederà alla Casa Bianca fra poco meno di un anno.

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Diceva Céchov che, se nel primo atto di una pièce teatrale c’è un fucile appeso al muro, al terzo quell’arma farà fuoco. Ed è un fatto che in questo momento, le immaginarie pareti del palcoscenico europeo siano tappezzate di armi. Micael Johansson, capo di Saab, uno dei più grandi gruppi europei della difesa, dice che oggi la Russia è in grado di produrre tra 4 e 5 milioni di proiettili di artiglieria l’anno, più di dieci volte la quantità di cui è capace l’Europa. «Anche noi stiamo investendo, ma è abbastanza?», ha detto al Financial Times, spiegando che «i governi europei faticano a capire quanta strada dobbiamo fare per avere capacità di deterrenza e resilienza contro il pericolo che viene da Est». Mentre Vlad Gheorghita, capo delle forze armate romene, avverte che, se Putin avesse successo in Ucraina, il prossimo obiettivo sarebbero la Moldavia e i Balcani occidentali: «La Russia non si fermerà qui e penso che l’escalation avverrebbe in tempi brevi».

Lo spirito del tempo volge alla mobilitazione. Il 30 gennaio Germania, Paesi Bassi e Polonia hanno firmato un accordo per costruire nuovi collegamenti ferroviari «dual use», in grado di consentire un trasporto più rapido ed efficace di uomini e materiali dai porti del Mare del Nord alle frontiere orientali dell’Europa. Una settimana prima, la Commissione europea aveva stanziato 800 milioni di euro per finanziare 38 progetti di mobilitazione militare in dieci Paesi dell’Ue. Ma siamo ancora alla logistica.

Alla Conferenza sulla Sicurezza, tenutasi nel fine settimana a Monaco di Baviera, la necessità per gli europei di prepararsi all’eventualità di un conflitto armato ha dominato la scena. Secondo molti partecipanti è mancato però il senso dell’urgenza: «C’è stata assenza di chiarezza sul cammino da percorrere, non ho visto una forte dimostrazione di solidarietà europea», ha detto al New York Times Steven Sokol, dell’American Council on Germany.

E invece, spiega l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, «il ritorno della guerra sul nostro Continente pone la sicurezza comune al centro e davanti a tutto». Stretta tra una Russia imperialista e un’America comunque più isolazionista, «l’Europa deve fare un salto nella realtà, preparandosi qui e ora al peggior scenario immaginabile». Questo significa né più né meno che «un riarmo coordinato per aumentare drammaticamente la nostra capacità di difesa e deterrenza, compreso uno scudo nucleare comune». Non facciamoci illusioni, ammonisce Fischer, «ognuno a loro modo, Putin e Trump ci costringono a uno storico e fondamentale cambio di paradigma. Il tempo dell’ingenuità sul tema della nostra sicurezza non deve più tornare». Ursula von der Leyen, che ieri è stata ufficialmente candidata dalla Cdu tedesca per un nuovo mandato alla testa della Commissione europea, ha promesso che, se verrà riconfermata, nominerà un commissario alla Difesa. Ma è veramente quello che serve?

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