Commentary on Political Economy

Friday 16 February 2024

 

Putin, lo zar spietato (e nervoso) che non tollera rivali

Putin, lo zar spietato (e nervoso) che non ammette rivali
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Dietro il volto tracotante, l’intolleranza verso ogni forma di antagonismo: a un mese dal plebiscito che lo confermerà al vertice del potere restava solo Navalny a fargli ombra

«Al Cremlino c’è gente che vorrebbe mettermi dentro e buttare via la chiave o peggio. Ma Putin è più razionale. E sa che non ha bisogno di prigionieri politici famosi. Almeno per ora», mi disse Aleksei Navalny nel 2016, quando andai a intervistarlo nel suo ufficio di Mosca. Dove la vera, agghiacciante profezia stava in quel «almeno per ora».

Ieri Vladimir Putin si è liberato per sempre dell’uomo che incarnava la sua nemesi. Ha ordinato esplicitamente il suo assassinio? O ha lasciato che Navalny si spegnesse lentamente, ucciso dalle spaventose condizioni della sua prigionia sopra il Circolo Polare Artico: freddo, isolamento totale, cibo poco nutriente e schifoso, cure mediche approssimative o inesistenti? Comunque sia andata, era chiaro che prima o poi sarebbe successo: Navalny doveva morire.

Ed è un segnale inquietante di cosa passa in questo momento nella testa dello zar, a un mese dalle elezioni presidenziali, che già si annunciano come un plebiscito e che lo confermeranno al vertice del Cremlino per altri sei anniPutin sa che vincerà, tutto è stato predisposto in tal senso. Anche l’ultimo, insignificante ostacolo di un candidato antiguerra come Boris Nadezhdin è stato bocciato dalla solerte Commissione elettorale centrale, con la scusa che non aveva raggiunto un quorum sufficiente di firme valide. Ed è indicativo che, per la prima volta, il Cremlino non consenta neppure la presenza di una foglia di fico, un candidato in (prudente) contrasto con il presidente. Così in lizza, oltre a Putin, ufficialmente senza partito ma sostenuto da Russia Unita, sua diretta emanazione, rimangono solo tre candidati degli altri tre partiti «tollerati» alla Duma.

In realtà restava solo Aleksei Navalny a fare ombra al trionfo annunciato di Putin. Che lo zar in qualche modo ne soffrisse l’indomabile attivismo, era apparso chiaro in dicembre, quando lo avevano trasferito nella remota colonia penale IK-3, nella penisola siberiana di Yamal, per impedirgli una volta per tutte di comunicare con parenti e amici, dentro e fuori la Russia, mandando segretamente messaggi e continuando la sua battaglia contro la guerra e la corruzione che è l’essenza stessa del regime.

All’evidenza non bastava. Nonostante l’impatto di Navalny sull’opinione pubblica, intossicata dalla propaganda dei media di Stato, fosse notevolmente diminuito. E nonostante la base dei suoi sostenitori si sia negli ultimi anni fortemente ristretta. Anche in conseguenza della repressione sempre più micidiale di ogni protesta o distinguo. Ulteriore prova di questa deriva sempre più totalitaria è la firma messa da Putin pochi giorni fa a una nuova legge, che prevede la confisca di beni e proprietà alle persone già condannate per aver criticato la guerra in Ucraina. Non ci saranno manifestazioni di strada né a Mosca né altrove, per protestare per la morte del dissidente.

La verità è che Putin in cuor suo temeva Navalny, la cui eliminazione manda un segnale di paura e nervosismo. Dietro la serenità e l’arroganza delle sue ultime apparizioni pubbliche, in questa fase lo zar non può tollerare alcun dissenso interno, tantomeno quello carismatico e irridente di Aleksei Navalny. Fin quando rimaneva in vita, egli dimostrava che il coraggio, la verità e un’altra Russia sono possibili. Non più.

Non facciamoci quindi ingannare dai recenti sparigli di Putin. Il quale prima ha detto di preferire che alla Casa Bianca venga rieletto Joseph Biden, «più prevedibile, professionale e di vecchia scuola» rispetto a Donald Trump. E poi si è addirittura lamentato che Tucker Carlson, il giornalista americano che il Cremlino si era scelto per una intervista in ginocchio, non gli abbia posto domande più aggressive. Dietro questa maschera tracotante, lo zar non era affatto tranquillo e la fine di Navalny probabilmente lo fa sentire più sicuro. Per usare le stesse parole del dissidente, «almeno per ora».

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