Commentary on Political Economy

Thursday 3 September 2020

EVEN ITALY IS WAKING UP TO RATLAND DANGER

 OPINIONI

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I segnali su Taiwan che arrivano
alla Cina: è l’ora di cambiare?

Il presidente del Senato ceco, Milos Vystrcil, in visita ufficiale, è già un insulto diplomatico difficile da tollerare. Le sue parole pronunciate di fronte al Parlamento di Taipei, «wo shi Taiwan ren» (io sono un taiwanese), sono addirittura sale su una ferita — il distacco dell’isola dalla Madrepatria avvenuto con la fuga di Chiang Kai-shek e del suo esercito nazionalista sconfitto nel 1949 — che Pechino non sa più come rimarginare. Il dogma dell’esistenza di «una sola Cina», finora rispettato dal mondo intero, vacilla. Lo scorso mese era sbarcato a Taiwan il ministro della Salute americano Alex Azar: un rappresentante di tale rango non veniva ricevuto dai vertici della giovane democrazia orientale dal 1979. Ieri inoltre Washington ha reso noto parte del contenuto dell’accordo di difesa dell’isola.

La reazione alle parole kennediane di Vystrcil è stata aspra. In tour in Europa, il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha sibilato: «È stata superata una linea rossa, ci sarà un alto prezzo da pagare». Il Financial Timesnota in un editoriale che non siamo alla vigilia di un cambiamento drammatico nelle relazioni della comunità internazionale con Taiwan: non c’è alle viste il riconoscimento ufficiale della sua indipendenza politica, cosa che provocherebbe un immediato attacco militare da parte della Cina. Qualcosa però sta mutando in seguito alla crescente pressione sui vari fronti asiatici (l’India ne sa qualcosa), conseguenza della politica muscolare di Xi Jinping. Che fare? Forse, nota il quotidiano di Londra, è arrivato il momento di bilanciare la potenza cinese con un consenso concertato perché Taiwan possa prendere il suo posto nelle istituzioni mondiali, a cominciare dall’Oms. A Pechino il messaggio sarebbe compreso immediatamente.

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